Buone Notizie #28

SUPPLEMENTI PER LA LETTURA E L’APPROFONDIMENTO

GIUDIZIO

di Ignazio Barbuscia (adattato da Silvia Vadi)

(dal libro AA.VV., Dizionario di dottrine bibliche, Edizioni ADV, Falciani Impruneta FI, 1990)

Il termine che troviamo nell’Antico Testamento (AT) per giudizio, giudicare, è mispat, mentre nel Nuovo Testamento (NT) si usa generalmente la famiglia di vocaboli krínô.

Il concetto di mispat nell’AT

La radice spt ha, nell’AT il doppio significato di:

a) governare, dominare;

b) giudicare.

Spesso troviamo l’idea che l’ufficio di governare comprende anche quello di rendere giustizia. Non sempre però ciò avviene, soprattutto se ci si riferisce alla giustizia di normale amministrazione.  Essa era affidata agli anziani (Giosuè 20:4; Proverbi 31:23) i quali, quando occorreva, si radunavano in pubblico presso la porta della città (Ruth 4 ci mostra come si procedeva). Da qui la frequente menzione della porta nel senso di «tribunale».

Soltanto i casi più gravi erano riservati «a Dio» tramite i sacerdoti che si pronunciavano secondo la legge da essi custodita (Deuteronomio 17:8-10) dopo aver consultato gli oracoli (Esodo 28:30; Numeri 27:21; 1 Samuele 28:6; Esodo 2:63).

Con la monarchia l’esercizio della giustizia in suprema istanza diviene compito precipuo del re (1 Samuele 8:5,6,20; 2 Samuele 15:2). Absalom approfitta delle lamentele contro Davide 2 Samuele capp. 13 e 14). Troviamo Salomone nella sua funzione di giudice (1 Re 10:9). Anche il re del tempo futuro, il Messia, sarebbe stato un re che avrebbe giudicato con rettitudine (Isaia 9:6; 11:4).

Mispat designa il giudicare, il rendere giustizia, sia nel significato concreto di sentenza, decisione, sia in quello più astratto di causa giudiziaria, processo penale.

Il termine è ancora più ricco di significati. Per esempio, l’aggiunta di bên, fra (Genesi 16:5), rende indiscutibile il senso giuridico della radice spt, si può vedere come ciò che importa non è tanto il fatto che sia presa una decisione, quanto piuttosto che venga eliminato il turbamento del rapporto, introdotto dal danno operato da una delle due parti in causa. In Isaia 2:4 e Michea 4:3 l’accento cade, malgrado la preposizione bên sullo stato di salôm, pace, determinato grazie a spt.

Troviamo anche un’evoluzione semantica di questo termine, che non acquista soltanto il senso di religione o di verità, ma persino quello di grazia e di salvezza (Is 30:18 ss), di amore per le vedove e gli orfani (Deuteronomio 10:18,19), di forza per i deboli (Ezechiele 34:16), di salvezza e aiuto per il popolo (Deuteronomio 10:18; Isaia 30:18; Salmo 76:9; 82:2-4), di perdono dei peccati (Salmo 25:6 ss; 103:6 ss), di benessere per il popolo in rapporto con l’osservanza della legge (1 Re 8:58,59,61), di perdono e misericordia (1 Re 8:49,50).

Dio garante della giustizia

Dio è giudice: questa è un’antica concezione comune a tutti i popoli semiti; Dio è visto al tempo stesso come fondamento e come contraente del diritto. In poche parole, Egli è l’autore e il garante di tutta la giustizia umana, sia all’interno della comunità, dove la sua sovranità si realizza nell’atto di giudicare e in esso si riconosce che Egli è il Signore, sia nella difesa della comunità dagli attacchi dei nemici.

Ora, l’idea del giudizio (Dio giudice) nell’AT ha la sua genesi non in campo giuridico, ma nella dottrina dell’alleanza. Apportando al suo popolo la salvezza e la vittoria come frutto dell’impegno dell’alleanza, Jahweh realizza il suo giudizio sul popolo (Deuteronomio 1:17).

I mispatim di Jahweh sono manifestazioni di questo patto nel quale Jahweh, come sovrano signore e giudice, regola i rapporti comunitari del popolo e lo libera dal suoi oppressori con grandi giudizi

(Esodo 6:6; 7:4; Giudici 11:27; 2 Samuele 18:31; Deuteronomio 33:21). (È significativo che le vittorie di Israele siano definite sidqôt jhwh – letteralmente: giudizi di Jahweh – sono dunque manifestazioni delle decisioni con cui Jahweh giudica). Egli non lascia impunito il peccato (Genesi 4:10).

Ora, proprio in questa profonda consapevolezza del peccato, l’annuncio del giudizio di Dio si identifica nella Bibbia con l’annuncio della sua condanna, tanto più che il popolo è legato a Dio con una relazione a carattere salvifico, gratuito, giuridico, amorevole.

In Genesi 18:25, dalla domanda di Abramo: «Il giudice di tutta la terra non farà mispat?» comprendiamo come questo tipo di fede in Dio riguarda il singolo come anche la comunità e la fiducia che viene dall’aver sperimentato il mispat nella propria storia ha altrettanto valore nella storia universale.

Il mispat non è soltanto la norma astratta o giuridica in base alla quale vengono pronunciate delle sentenze; è anche e soprattutto un concetto di relazione all’interno della comunità e non si coglie tutto il contenuto se non si vede questo concetto alla luce del Patto dell’Alleanza. Si ha una visione distorta dei racconti veterotestamentari se si dà di questi una valutazione sulla base del concetto di giustizia distributiva piuttosto che di giustizia salutifera che tende ad un determinato scopo nella sfera del popolo di Dio e della sua storia.

Inoltre, il concetto di giudizio ha un profondo carattere etico e religioso, visto sempre alla luce dell’Alleanza: «Sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo». Ciò lo si può notare soprattutto in relazione alla distinzione fra bene e male e lo si vede nella preghiera di Salomone a Jahweh (1 Re 3:9) e nella risposta di Dio al v. 11:

«Hai chiesto intelligenza per poter discernere (letteralmente: udire) ciò ch’è giusto (mispat)». Ciò vuol dire che il concetto di mispat condensa la capacità di discernere fra il bene e il male (vedere anche Michea 3:1,9; nella stessa direzione è orientato Isaia 1:17; e anche Amos 5:15; 5:7; 6:12).

Si può individuare una qualificazione etica anche nei casi in cui il concetto di mispat viene messo in relazione con i poveri e i miseri, gli orfani e le vedove (Deuteronomio 10:1; 24:17; 27:19). Nella medesima linea sono i profeti (Isaia 1:17; 10:2; Amos 5:11,15; Geremia 5:28; 21:12; 22:15; Ezechiele 22:29), o Jahweh che rende giustizia a tutti gli oppressi (Salmo 103:6; 140:13), o in relazione alla rettitudine della giustizia di Dio (Isaia 5:16; 3:1315).

In Osea 6:5,6 si trova l’aspetto religioso; il mispat è messo in relazione alla pietà e al conoscere Jahweh e alla ricerca della verità (Geremia 5:1) o la capacità di predicare contro il peccato (Michea 3:8) o per annunciare la perdizione religiosa e morale degli abitanti di Gerusalemme (Sofonia  3:1-5).

Questo significato religioso lo si vede di più quando si parla dell’importanza di conoscere l’Eterno, che significa che Egli fa mispat, hesed e sedaqa sulla terra (Geremia 9:23,24; Osea 12:7; Michea 6:8) e richiede anche all’uomo di fare altrettanto. Solo tenendo conto di questo approfondimento del concetto di mispat possiamo comprendere la predicazione del giudizio in bocca ai profeti, giudizio dovuto alle conseguenze della rottura del patto da parte del popolo, il che gli era già noto (Deuteronomio 28:20).

Il giudizio significa per Israele, come popolo, salvezza, vittoria, liberazione dal suoi nemici, grazie all’intervento di Jahweh, ma questa idea si trasforma (Amos 1 e 2), il giorno di Jahweh sarà anzitutto un giorno di giudizio su Israele (Osea 4:11; Isaia 1:18 ss; Michea 1:2-4; Sofonia 3:8; Malachia 3:2).

Il giudizio d’Israele sta al centro del giudizio su tutte le nazioni; qui appare la nozione di resto: solo il «resto», il rimanente del popolo di Dio sarà salvato. Nel giudizio sul popolo del patto il giudice appare come signore e re del cielo e della terra, che suscita tutte le potenze contro il popolo eletto (Amos 9:2; 5:3,16 ss; 7:11; 8:8 ss; Osea 5:12 ss; 9:6; Isaia 3:1 ss; 5:9 ss; 8:5 ss; 29:2 ss; Michea 3:12; Geremia 4:5 ss; 7:30 ss; Ezechiele 5:7 ss; 7.11).

Tutti i giudizi vanno fatti risalire a Jahweh (Ezechiele 5:6 ss). Il termine mispat in Isaia 40:14 viene usato per esprimere l’opera di Jahweh che abbraccia il mondo intero: infatti troviamo l’idea di giudizio del mondo per mezzo del diluvio (Genesi 6:5), giudizio su Sodoma (Genesi 18:20), sull’Egitto (Esodo 7:4) o sulle altre nazioni nemiche di Israele (Salmo 7:7; 9:4; 110:6; Amos 1:3; 2:16; Isaia 1 e 2; Geremia 1:14 ss; Michea 1:2 ss; Sofonia 3:8 ss; Malachia 3:2 ss).

Tuttavia il termine mispat viene usato anche quando si deve parlare dei rapporti positivi fra Jahweh e le altre nazioni che possono portare a compimento il piano di Dio (Isaia 44:28; 45:1 ss). In Isaia 42:1-4, fra i compiti del Servo di Jahweh, viene menzionato quello di portare il mispat ai popoli. Il mispat risale dunque a Jahweh in persona. Il fatto che viene portato alle nazioni è messo in particolare rilievo, perché fino a quel momento esso era stato dato soltanto ad Israele. Attraverso questo compito, che il Servo adempirà fedelmente, le differenze vengono superate; ciò significa salvezza per le nazioni, misericordia per gli oppressi. La luce del mispat sarà luce per le nazioni (Isaia 42:1-4). Certo, al v. 6 del cap. 42 di Isaia viene predetto che il suo braccio giudicherà le nazioni; ma le espressioni « luce», «salvezza», «aiuto» provano che si tratta di giudizio salvifico.

Via via che la potenza di Dio viene riconosciuta come estendentesi al mondo intero, il giudizio prende un’ampiezza cosmica (Sofonia 2). I profeti, inoltre, descrivono a più riprese il giudizio finale  e ciò che lo precede (Ezechiele 38,39), il giorno di Jahweh nella valle di Giosafat (nome che significa Jahweh giudica) o Daniele che ci mostra il giudizio nel cielo (Daniele 7) o Zaccaria che ci mostra la battaglia finale di Jahweh contro le nazioni e la nuova Gerusalemme che regnerà per l’eternità.

L’idea di giudizio nell’antichità

L’idea delle divinità come custodi del diritto e della morale e come giudici degli uomini era presente nell’antichità.

In Mesopotamia Samas era considerato come «il grande giudice dei cieli e della terra» che ispirava ai re giusti decreti e vegliava sulla loro esecuzione. Anche gli Egiziani erano convinti che gli dèi proteggessero l’ordine e la legalità. Inoltre credevano in un giudizio individuale o particolare immediatamente dopo la morte.

Nell’antico impero questo giudizio era pronunciato dal dio del sole Râ e concerneva solo il faraone i cui atti ufficiali erano esaminati sotto l’angolo della giustizia prima di essere ammesso al regno celeste.

A partire dal medio impero anche i grandi dell’impero e i comuni mortali vi potevano accedere, a condizione che fossero giudicati degni di un giudizio particolare. Questa estensione del giudizio a tutti gli uomini non avveniva davanti al dio del sole Râ, ma davanti al dio della morte Osiris e aveva per oggetto il compimento dei doveri della giustizia comune.

Nel pensiero dei Greci vi è anche una evoluzione storica. Prima della fioritura e della pienezza della maturità ellenica si pensava alle divinità come animate da passioni umane, per cui si poteva placare la loro collera con offerte, sacrifici.

I Greci più colti combattevano tali concezioni, ma credevano che Zeus, il più divino delle divinità greche, fungesse da giudice e facesse prevalere il diritto malgrado esperienze contrastanti. Dike, la giustizia, è figlia di Zeus e ne condivide il trono.

I Greci attendevano il giudizio divino in questa vita. Poteva forse esercitarsi soltanto, o ancora, sui figli e sui nipoti del colpevole, ma la sua sfera era questa vita. Non si sperava in un giudizio universale futuro. La triste sorte delle ombre negli inferi non è una punizione attribuita da un giudice divino, bensì parte comune di tutti gli uomini. I misteri eleusini assicurano gli iniziati che negli inferi avranno la precedenza sugli altri. Ma gli orfici sono i primi ad annunciare un giudizio che si tiene nel mondo degli inferi nei confronti di tutti gli uomini e che decide della loro sorte in quel mondo, annuncio che è in relazione con la dottrina della natura umana dell’anima e del suo vagare attraverso varie esistenze terrene. Tale giudizio infernale non è in compenso definitivo, ma assegnazione di uno stato intermedio, dopo un’esistenza terrena e prima della prossima. Pindaro, Eschilo, Platone condividevano questa dottrina, cioè la fede in un giudizio delle anime nell’aldilà.

L’idea di giudizio nel giudaismo

L’idea del giudizio del giudaismo è più che mai presente. Dio non lascia semplicemente che il male accada, senza intervenire contro di esso; Egli mantiene in vigore la sua legge santa con le prescrizioni e i divieti, mediante punizioni e compensi, e la fa valere in modo irresistibile proprio contro coloro che lo spregiano.

L’Ebreo sperimentava il giudizio di Dio in ogni tempo di sfortuna o di salvezza che venisse sull’uomo, e da una sfortuna particolare era pronto a dedurre l’esistenza di una precisa colpa in colui che ne era colpito. Questo concetto comportava grossi problemi che non trovavano una soluzione e imprigionavano la fede. La forma più sicura della fede nel giudizio di Dio sul mondo era attesa in Israele e questo giudizio riguardava Israele e, in modo particolare, i pagani.

I farisei che credevano nella resurrezione dei morti si trovavano ad affrontare un problema particolare: quello di compiere uno sforzo instancabile per reggere al giudizio di Dio, ovvero per acquistarsi meriti che in esso potessero controbilanciare i peccati. Il fariseo quindi oscillava fra un’orgogliosa fiducia nelle proprie buone opere, che lo rendevano cieco della propria peccaminosità, e un timore dinanzi all’ira di Dio che raggiungeva toni di disperazione. Nel Messia che doveva venire vedeva l’esecutore del giudizio divino, ma non un aiuto contro il proprio peccato.

L’idea di giudizio nel Nuovo Testamento

Uso linguistico. Il NT usa generalmente la famiglia di vocaboli krínô. Con il termine kríma si designa la decisione del giudice, la sentenza, la condanna; il termine krísis esprime anche la decisione del giudice, la sentenza, sia divina che umana, e per lo più una sentenza di condanna, ma è anche presente il significato di separazione, scelta. Il giudizio del mondo è sempre separazione.

Kríno: separare, giudicare; anakríno: indagare, esaminare; kritês: giudice; synkríno: paragonare, giudicare; katàkrima: dannazione, punizione; katakríno: condannare; katakrisis: condanna; kataghinôsko: condannare.

Anche se vi sono altri termini, già da questi ci si rende conto della ricchezza di significato dei termini che ruotano intorno al giudizio o all’atto di giudicare. Ci sarà un giudizio e quanti credono nella continua evoluzione morale dell’umanità si ingannano.

La storia del genere umano sfocerà in un giudizio finale e il giudizio è, sia nell’AT come nel NT, un aspetto della liberazione dei credenti (Luca 18:1-8; Romani 12:19; 2 Tessalonicesi 1:5-10; Apocalisse 6:10) e, in ultima analisi, è il risultato della misericordia di Dio sia per i giusti che per gli empi.

Sia l’AT (Ecclesiaste 12:15,16) che il NT (2 Corinzi 5:10; 2 Timoteo 4:1; Atti 24:25; Matteo 12:36) parlano chiaramente del giudizio e, in vista di tale giudizio, troviamo l’appello di Dio nella sua  grande misericordia, affinché gli uomini si pentano, ritornino a lui e accettino il sacrificio di Gesù e la sua grazia mediante la fede per essere salvati. Già nella predicazione di Giovanni Battista il giudizio finale di Dio acquista validità attuale immediata per ciascuno (Matteo 3:10); nessuno è al riparo da esso (Matteo 3:7-9); vi è solo una possibilità di salvezza: convertirsi, umiliarsi nella confessione del peccato, nel battesimo, e portare frutti degni di ravvedimento. Solo così il Giusto Giudice diventa il Salvatore.

Nella predicazione di Gesù, l’idea del giudizio è centrale. Gesù, sia a parole che con le azioni, predica l’imminenza del giudizio di Dio, invitando al ravvedimento e alla speranza, e «minacciando» con i suoi «Guai a voi! » coloro che sono impenitenti a convertirsi (Matteo 11:20 ss; 10:15; 5:22,26,29 ss; 7:1 ss; 10:28,33; 13:30,47- 50; 24:50,51; 25:11 ss; 11:20-24; 12:41; 21:40; 22:7; 23:38; 12:32; 23:13-15). In questo giudizio non c’è spazio per i meriti personali, ma la salvezza è data unicamente come perdono.

La predicazione di Paolo è anch’essa dominata dall’attesa del giudizio di Dio che renderà a ciascuno secondo le sue opere (Romani 2:1-11). La pazienza divina lascia ancora tempo all’uomo perché si converta, ma arriverà il giorno in cui tutti gli uomini, senza eccezione, anche i cristiani, dovranno comparire di fronte al giudizio di Dio (2 Corinzi 5:10).

Sia per Pietro (1 Pietro 1:7; 2:7; 4:17) che per Giovanni (Giovanni 5:28; 15:6; 3:17; 8:15; 12:47; 12:31; 16:11; 1 Giovanni 4:17) l’attesa del giorno del giudizio costituisce il presupposto costante. Senza parlare poi dell’Apocalisse che presenta tutte le conseguenze del giudizio (Apocalisse 20:1 ss) e dove viene messo in risalto tutto il valore centrale che l’idea del giudizio ha nel NT e si concretizzerà con «la fine del mondo» e l’inizio di un mondo nuovo.

L’epoca del giudizio

La Parola del Signore avverte già nel libro dell’Ecclesiaste che «per tutto v’è il suo tempo» (Ecclesiaste 3:1 ss) e vi sarà anche il tempo del giudizio, «perché ha fissato un giorno nel quale giudicherà il mondo con giustizia, per mezzo dell’uomo ch’Egli ha stabilito» (Atti 17:31; vedi anche per I’AT Salmo 75:3). Secondo la profezia, il giudizio comincia nel 1844 (Daniele 8:14) (Si tratta della profezia delle 2.300 sere e mattine che qui non sarà sviluppata; si rimanda il lettore allo studio delle profezie di Daniele).

Da qui la responsabilità di ogni uomo di accettare senza indugio la salvezza che ci viene offerta. Domani sarà troppo tardi! Il credente ha anche la responsabilità di annunciare al mondo: «Temete Iddio e dategli gloria, perché l’ora del suo giudizio è venuta; e adorate Colui che ha fatto il cielo, la terra, il mare e le fonti delle acque» (Apocalisse 14:7).

Il Santuario celeste

Il Santuario israelitico era un’imitazione del Santuario celeste, secondo il modello mostrato da Dio a Mosè sul monte (Esodo 25:40). Senza entrare nello studio del Santuario, ricordiamo però che esso ha uno stretto rapporto anche con il tema del giudizio.

Le cerimonie che si svolgevano nel Santuario israelitico spiegano quelle del Santuario celeste. Quello che più ci interessa in questo momento è la festa delle Espiazioni. Alla fine di ogni anno religioso, nel giorno della Espiazione, il Santuario terreno veniva purificato dal peccati accumulatisi durante l’anno.

I due capri, quello che doveva essere offerto in sacrificio e quello che doveva essere mandato nel deserto, rappresentavano rispettivamente Cristo Gesù, che è stato fatto peccato per noi, e Satana, l’autore del male. Il giorno delle Espiazioni era, per l’israelita, un giorno di giudizio in cui egli doveva ricercare, tramite la confessione dei peccati, la rinnovata consacrazione che apparteneva al Cristo, simbolizzato dal sacrificio, o, se persisteva la sua indegnità, doveva essere reciso portando la pena del suo peccato, identificandosi con Satana simboleggiato col capro emissario.

Anche il Santuario celeste doveva essere purificato (Ebrei 9:23) e la purificazione del Santuario costituisce anch’essa un giudizio. Questa purificazione è cominciata nel 1844, anno che mette fine al 2.300 anni del profeta Daniele (Daniele 8:14) e che segna il momento in cui Cristo, avendo compiuto il suo ministero nel luogo santo, penetra nel luogo santissimo per purificarlo. Essa rappresenta, in altri termini, la prima fase del giudizio o, piuttosto, una vasta inchiesta che interessa solo i credenti.

La prima fase del giudizio

La prima fase del giudizio riguarda la Chiesa o meglio tutti coloro che, a partire da Adamo, si sono addormentati nel Signore o che saranno viventi prima del ritorno di Gesù. Questo giudizio precede, quindi, il ritorno di Cristo ed è descritto nel libro del profeta Daniele 7:9,10. «È giunto il tempo in cui il giudizio ha da cominciare dalla casa di Dio; e se comincia prima da noi, quale sarà la fine di quelli che non ubbidiscono al vangelo di Dio?» (1 Pietro 4:17).

È una vasta inchiesta, o giudizio investigativo, avente come scopo di determinare coloro, tra gli uomini, che sono degni di avere parte alla resurrezione tra i morti, o prima resurrezione (Luca  20:35) o che, essendo ancora in vita al momento del ritorno di Cristo, saranno trasformati senza passare per la morte (Matteo 25:31-46).

Lo scopo è quindi di separare, mettere da parte e suggellare quanti hanno accettato Gesù come Salvatore e di cancellare i loro peccati dal libri del cielo, trasferendoli sul capo di Satana (Azazel). Permetterà anche di vedere se la trasformazione avvenuta nel credente è stata vera e duratura.

La norma del giudizio

1. La legge

a) La legge dei dieci comandamenti è la regola secondo la quale gli uomini saranno giudicati, siano essi giudei o cristiani. «Parlate ed agite come dovendo essere giudicati da una legge di libertà» (Giacomo 2:12). Parecchi testi della Sacra Scrittura affermano questa idea (Ecclesiaste 12:15,16; Romani 2:12; Apocalisse 14:12; Giovanni 14:15; 1 Giovanni 5:1-3; Ebrei 8:8-12).

b) Per chi non ha conosciuto la legge scritta che troviamo nella Bibbia, la regola del giudizio sarà la propria coscienza (Romani 2:14-16).

2. I libri

a. Numerosi testi affermano che ciascuno sarà giudicato «secondo le sue opere» (Romani 2:5,6). Quando la Bibbia parla di opere intende tre cose:

  • i pensieri: 1 Corinzi 4:5; Ebrei 4:12
  • le parole: Matteo 12:36,37
  • le azioni: Ecclesiaste 12:16.

b. La Bibbia menziona tre fonti di informazioni che saranno consultate durante il giudizio e che vengono chiamate libri:

  • Il libro della vita nel quale sono scritti i nomi dei giusti grazie alla loro accettazione del sacrificio di Cristo, dal quale sono resi giusti e che parteciperanno alla felicità celeste (Romani 12:1; Apocalisse 3:5; 13:8; 17:8; 20:15; 21:27; Filippesi 4:3; Ebrei 12:23; Luca 10:20). Essere «cancellati dal libro della vita» significa non aver parte alla salvezza eterna (Salmo 69:28; Esodo 32:32,33).
  • Un altro libro (Isaia 65:6,7; Geremia 2:22; 18:23; Amos 8:7; Apocalisse 20:12) che potremmo chiamare libro della morte, dove sono scritte le cattive azioni.
  • Il libro delle memorie dove sono scritte tutte le buone azioni (Malachia 3:16).

c. Le nostre buone azioni, dunque, sono scritte nel libro delle memorie, mentre quelle malvagie appaiono nel libro della morte. A partire dal momento in cui abbiamo accettato il sacrificio di Gesù, il nostro nome figura nel libro della vita.

In realtà solo le persone i cui nomi si trovano nel libro della vita sono oggetto della grande inchiesta o giudizio investigativo o prima parte del giudizio: si tratta di stabilire se i loro nomi debbono rimanere scritti – in tal caso esse non passano in giudizio – oppure se debbono essere cancellati – e in questo caso esse sono messe nel novero degli empie giudicate nel corso della seconda fase del giudizio.

3. Il Giudice

Il giudizio finale appartiene naturalmente a Dio (Daniele 7:9-11; Matteo 18:35; Atti 17:30,31; Romani 14:10; 1 Pietro 1:17). Tuttavia Egli ne ha confidato l’esercizio al Cristo (Romani 2:16; Giovanni 5:22,27; Matteo 7:22,23;13:4143; 16:27; 25:31-46). Gli angeli (2 Tessalonicesi 1:7 ss), i discepoli di Gesù (Luca 22:30) e la Chiesa tutta intera (1 Corinzi 6:2,3) collaboreranno con il Cristo giudice.

ll giudizio degli empi

1. La seconda fase del giudizio

La seconda fase del giudizio, o giudizio degli empi, uomini e angeli, descritto in Apocalisse 20:4,11-15, si svolge tra le due resurrezioni o, meglio, durante il millennio, periodo nel quale Cristo è allo stesso tempo re e giudice.

Se nella prima fase del giudizio gli angeli hanno un compito molto importante, nella seconda lo avranno gli eletti (1 Corinzi 6:2,3). «In collaborazione con il Cristo essi giudicheranno i malvagi, comparando le loro azioni con il codice, la Bibbia, e decidendo ogni caso particolare secondo le azioni fatte quando erano nel corpo. In seguito è stabilita per ciascuno la misura della punizione, secondo le proprie opere; e la sentenza è scritta vicino ad ogni nome nel libro della morte» (E.G. White).

2. Contraddizioni apparenti

Tra la prima fase e la seconda fase del giudizio vi è una differenza essenziale che spiega la contraddizione apparente che esiste fra 2 Corinzi 5:10 da una parte, e Giovanni 5:24-29 dall’altra.

Per i veri figliuoli di Dio vi sarà una semplice inchiesta destinata a stabilire il loro diritto alla vita eterna; per i ribelli vi sarà invece un giudizio di condanna.

a) «Giudicare, – dice Godet a proposito di Giovanni 3:18 – significa, dopo una inchiesta dettagliata degli atti, pronunciare sul loro autore una sentenza giudiziaria che decida della sua innocenza o della sua colpevolezza. Ora, il signore dichiara che il credente, dal momento che è già introdotto nella vita eterna, non sarà sottoposto ad un’inchiesta di questo genere. Egli comparirà, secondo Romani 14:10, 2 Corinzi 5:10, ma per essere riconosciuto salvato e ricevere il suo posto nel regno (Matteo 25). Se la fede sottrae l’uomo al giudizio, non è una cosa arbitraria. È la conseguenza del fatto che, attraverso il giudizio interiore del pentimento che precede e segue la fede, il credente è introdotto nella sfera della santificazione cristiana che è un giudizio continuo di se stesso e, per conseguenza, l’anticipazione libera del giudizio (1 Corinzi 11:31)» (A. VAUCHER, L’histoire du salut, 404).

b) E a proposito di Giovanni 5:24: « Per chi riceve con fiducia la sua parola, i due atti decisivi del dramma escatologico, la resurrezione e il giudizio, sono cose consumate. La sola parola di Gesù, ricevuta con fede, ha compiuto tutto (…) L’esenzione dal giudizio deriva naturalmente dall’entrata nella vita. Il posto del giudizio è all’ingresso del regno (…) Attraverso la parola di Gesù, ricevuta interiormente, il credente subisce quaggiù questo giudizio morale al quale saranno sottoposti nell’ultimo giorno i non credenti. La rivelazione delle cose nascoste (1 Corinzi 4:5) avviene nell’intimo della sua coscienza, in cui è condannato tutto ciò che lo sarà per gli altri davanti al tribunale nel giudizio ultimo. II giudizio è in tal modo per lui una cosa compiuta. Se, dunque, la parola ricevuta con fede affranca il credente dal giudizio, è perché avviene in anticipo» (A. VAUCHER, idem, p. 404).

3. Eventi che inaugurano i mille anni

Per capire lo svolgimento di questa seconda fase del giudizio, non è inutile enumerare brevemente gli eventi che inaugureranno i mille anni:

a) Ritorno in gloria, circondato da una moltitudine di angeli; ritorno personale e universalmente visibile (Apocalisse 1:7; Matteo 24:27,30; Giovanni 14:1-3; Atti 1:11).

b) Resurrezione di tutti i giusti morti (Apocalisse 20:4,6; Giovanni 6:40; 1 Corinzi 15:52; 1 Tessalonicesi 4:16). «Delle tombe si aprono (…) e tutti coloro che sono morti nella fede al terzo messaggio (di Apocalisse 14) ne escono glorificati, per udire il patto di pace che Dio fa con coloro che hanno osservato la sua legge. “E coloro che l’hanno trafitto” (Apocalisse 1:7), coloro che hanno volto in derisione l’agonia del Cristo, con gli avversari più accaniti della sua verità e del suo popolo, sono riportati in vita per contemplarlo nella sua gloria ed assistere agli onori di cui saranno ricoperti gli uomini rimasti fedeli ed ubbidienti» (E.G. White) (A. VAUCHER, idem, p. 410) (Marco 14:62).

c) Trasformazione di tutti i giusti viventi (1 Corinzi 15:51-53; 1 Tessalonicesi 4:17).

d) Adunamento della chiesa e sua elevazione in cielo.

e) Terrore degli empi e loro uccisione mediante il fuoco, all’avvento del Signore (Apocalisse 6:15-17; 2 Tessalonicesi 1:7-10).

4. Durante il millennio

Durante i mille anni la terra è deserta e ritorna nel caos (Geremia 4:23-26). Satana e i suoi angeli sono legati da una catena di circostanze e indotti alla più assoluta inazione (Apocalisse 20:1-3).

Durante questo periodo i salvati regneranno con Cristo su nel cielo e non sulla terra (Apocalisse 20:4,6) e, sotto la direzione di Cristo re e giudice, parteciperanno al giudizio degli empi e degli angeli caduti. «Non sapete voi che i santi giudicheranno il mondo? …Non sapete voi che giudicheremo gli angeli?» (1 Corinzi 6:2,3; vedi Luca 22:30 e Apocalisse 20:4).

Gli empi saranno giudicati secondo le loro opere (Apocalisse 20:12) e la norma, cioè la legge di Dio che è servita per la grande inchiesta, servirà anche per il giudizio degli empi.

La sentenza che fissa la pena dei singoli terrà conto delle responsabilità, delle colpe, poiché tutto viene misurato secondo la luce avuta e i doni ricevuti. «A chi molto è stato dato, molto sarà ridomandato; e a chi molto è stato affidato, tanto più sarà richiesto» (Luca 12:48).

La sentenza sarà giusta e la pena proporzionata al grado di colpevolezza. Tutti gli empi, però, sono votati alla finale e definitiva distruzione. Alcuni la subiranno senza soffrire, mentre altri dovranno espiare numerose colpe.

5. L’applicazione del verdetto

a. Ciò che accadrà dopo il millennio. La sentenza del giudizio sarà eseguita alla fine dei mille anni. Essa sarà irrevocabile e la sua esecuzione è necessaria perché si possa realizzare in pieno il piano di Dio. Tre avvenimenti la preparano:

  • Cristo, i suoi angeli e la moltitudine dei redenti scendono dal cielo con la nuova Gerusalemme (Zaccaria 14:3,4; Apocalisse 21:1,2)
  • Tutti gli empi, sia quelli che sono morti nel corso dei secoli, sia quelli che sono stati distrutti dal fuoco all’avvento di Cristo, all’inizio dei mille anni risuscitano per subire il castigo decretato per loro (Giovanni 5:29 up; Apocalisse 20:5 pp).
  • Satana è sciolto, cioè la resurrezione degli empi lo strappa al suo isolamento e gli fa ritrovare numerosi sudditi sui quali può di nuovo esercitare la propria autorità. Egli li spinge alla guerra contro la nuova Gerusalemme e i suoi abitanti (Apocalisse 20:7,8). Nel momento tragico in cui gli empi, condotti da Satana, investono la nuova Gerusalemme, Dio interviene e, dopo averli accusati della loro colpevolezza, lascia che subiscano la sentenza pronunciata contro di loro. Essi sono distrutti (…) (Apocalisse 20:9,10,14,15; 21:8; Malachia 4:1,2). Satana, a sua volta, è anch’egli distrutto. Il male non c’è più e la morte è annientata. L’armonia universale, interrotta per un certo tempo da Lucifero, è per sempre ristabilita.

b. L’annientamento. La vita si trova solo in Dio, ciò che è fuori di Dio non ha durata. Ciò lo si trova in tutta la Bibbia (Deuteronomio 30:19). Ora, uno dei problemi che si pongono in riferimento al giudizio è quello delle pene eterne. Questa teoria non ha alcun fondamento nella Bibbia. I due principali testi riferiti a Gesù sui quali ci si appoggia non la confermano, anzi la

«Il testo di Matteo 25 (v. 46) non dice: “Costoro andranno alle pene eterne”, ma “al castigo eterno”, e la parola greca qui utilizzata racchiude in primo luogo l’idea di recisione. La sua radice significa potare, sfrondare, tagliare. Il senso di questo passo è dunque: Costoro saranno recisi per sempre».

«Il passo di Marco 9 (v. 48): “Il verme loro non muore e il fuoco non si estingue”, è una citazione di Isaia 66:24 in cui non si parla di esseri immortali eternamente divorati dal verme e dal fuoco, ma di cadaveri gettati dal bastione e che il verme e il fuoco sono destinati a distruggere. È la distruzione, l’annientamento inevitabile. Trarre da un testo come questo l’idea di un supplizio eterno significa prestare all’oggetto distrutto le qualità del distruttore e concludere con il fatto che un distruttore non sarà turbato nella sua opera di distruzione all’idea che l’oggetto da distruggere non sarà mai distrutto; quindi proprio il contrario di ciò che insegna l’esperienza e di ciò che vuole il buon senso» (Westphal).

«Le sofferenze con cui gli empi espieranno le loro iniquità porteranno dunque ad una distruzione totale. Così il loro castigo sarà eterno nei suoi effetti. Apocalisse 20:9,15 indica come avrà luogo questa distruzione. Quando la morte avrà ultimato la sua opera, essa stessa sarà annientata per sempre» (v. 14).

È vero che un passo di Apocalisse (20:10) sembra menzionare tormenti eterni. Ma bisogna notare in primo luogo che si tratta di un castigo eccezionale, inflitto a Satana ed ai suoi principali seguaci; poi, l’espressione «nei secoli dei secoli», come altre espressioni analoghe, non ha sempre un valore assoluto nel linguaggio biblico. Spesso queste espressioni designano una durata indeterminata. Come in Isaia 32:14,15.

Per quanto riguarda il fuoco inestinguibile, vedi Geremia 17:27; 2 Pietro 2:6; Giudici 7» (A. VAUCHER, idem, p. 419).

Bibliografia

Dizionario Biblico, Claudiana.

Dizionario dei Concetti Biblici del Nuovo Testamento.

Enciclopedia della Bibbia, LDC, vol 3.

KITTEL, G., FRIEDRICH, G., Grande Lessico del Nuovo Testamento, Vol. V, Paideia.

PACHE, r., a cura di, Nuovo Dizionario Biblico, Ed. Centro Biblico.

Bibliografia

La confessione di fede degli Avventisti del 7° Giorno, Le 28 verità bibliche fondamentali, Edizioni Adv, Impruneta Firenze, 2010, cap. 27.

Per acquistare questo volume puoi visitare il sito: www.edizioniadvshop.it  o richiederlo al responsabile della libreria di chiesa della comunità avventista che frequenti

Goldstein, C.R., Quando finirà il male?, Edizioni Adv, Impruneta Firenze, 2005.

Heinz, H., Un mondo che cambia, Edizioni Adv, Firenze, 1993.

(Questi libri potrebbero essere esauriti – li si potrebbe trovare in qualche libreria di chiesa o famiglia avventista)

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