Buone Notizie #26

SUPPLEMENTI PER LA LETTURA E L’APPROFONDIMENTO

SANTUARIO

di Franco Mosca

(dal libro AA.VV., Dizionario di dottrine bibliche, Edizioni ADV, Falciani Impruneta FI, 1990)

L’ebraico miqdash indica un «luogo santo»; mishkan «dimora», «abitare in tende»; ohel moed «tenda del convegno»; bet Yahweh «casa di Yahweh»; ohel ha’edut «tenda della testimonianza».

Nelle diverse religioni il termine santuario indica un luogo santo indipendentemente dall’esistenza o meno di un tempio, dove abita la divinità e le si rende un culto. Il Santuario nell’Antico Testamento (AT) non viene considerato come il luogo della dimora di Dio bensì come il luogo della sua manifestazione.

Il Santuario mosaico

Il libro dell’Esodo può a ragione essere considerato maggiormente dedicato all’organizzazione del Santuario. Al Sinai Israele entra in una relazione di patto con Dio, patto che prima ancora era stato sancito con Abramo, Isacco e Giacobbe. Il Santuario israelitico conservava i più importanti sacrifici dell’epoca patriarcale. Nel piano di Dio era giunto il tempo per il suo popolo di conoscere maggiori dettagli circa la divinità, il problema del peccato e i mezzi stabiliti da Dio per riconciliare l’uomo a sé restaurando quella unione armoniosa che l’entrata del peccato aveva rotto. Questa nuova luce non annulla affatto la vecchia luce; le cose essenziali circa il sacrificio e la mediazione già conosciute in epoca patriarcale sono ora elaborate in quel servizio che è conosciuto come: tempio-tabernacolo, santuario (Esodo 25:8; 29:45,46).

Il Pentateuco non considera Mosè come l’originatore dei rituali concernenti il Santuario. Ben cinque volte si fa riferimento al fatto che Mosè ha ricevuto una rivelazione da Dio a questo riguardo: «E mi facciano un santuario perché io abiti in mezzo a loro. Melo farete in tutto e per tutto secondo il modello del tabernacolo e secondo il modello di tutti i suoi arredi, che io sto per mostrarti» (Esodo 25:8,9).

Mosè riceve una visione e non solo per contemplare un modello, infatti altre volte Mosè aveva già ricevuto istruzioni, e anche le tavole di pietra, direttamente da Dio senza la necessità di essere in visione (Deuteronomio 10:1-6). Se invece a Mosè viene mostrata la dimora celeste di Dio, allora egli poteva vedere ciò solo in visione. (CASSUTO, A commentary on the book of Exodus, Jerusalem 1967, p. 322). Anche antichi commentatori ebrei sono d’accordo con questa linea di pensiero, affermando che Mosè vide una struttura realmente esistente e gli arredi che egli fece costruire erano un facsimile di quelli visti.

Spesso nell’AT il Santuario viene indicato dall’espressione «tabernacolo della testimonianza» e «tenda della testimonianza». Ciò sembra naturale dal momento che le tavole del Decalogo erano chiamate le tavole della testimonianza e si trovavano nell’arca, elemento fondamentale del luogo santissimo (Esodo 25:22).

Essendo il tabernacolo il luogo della manifestazione di Dio, esso viene descritto con dei termini che stanno ad indicare un luogo sacro. Infatti, la stessa radice ebraica qdsh sta ad indicare «sottratta a un uso comune per uno scopo divino».

Cercheremo anche se sinteticamente di dare una visione d’insieme del tabernacolo rimandando per una trattazione più ampia a A. PELLEGRINI, II popolo di Dio e l’anticristo attraverso i secoli, Asti 1980, pp. 345-386.

L’edificio del tabernacolo era composto da assi, teli e veli; infatti esso era smontabile e veniva trasportato dai leviti parte sulle spalle e parte su dei carri. Quando il popolo si trasferiva in un nuovo accampamento, prima si innalzava il tabernacolo e poi il popolo si accampava tutt’intorno.

Le assi (Esodo 26:15-28). Le assi che formavano le pareti del Santuario erano tenute ben unite da 5 traverse; quando erano erette venivano fissate alle loro basi d’argento.

Teli, tenda e coperte (Esodo 26:1-14). Dieci teli larghi 4 cubiti erano tenuti insieme da nastri di color violaceo e da fermagli d’oro. Sopra il tabernacolo era posta una tenda di pelle di capra (10 teli misuravano 4 cubiti per 30 ed erano tenuti uniti tra loro da nastri e fermagli di rame).Vi era inoltre una copertura di pelle di montone ed una di pelle di tasso (o di delfino come traduce il Luzzi).

Il velo (Esodo 26:31-35) separava il luogo santo dal luogo santissimo. Era di filo violaceo, porpora, scarlatto e lino fino. Su di esso erano ricamati dei cherubini. Secondo Ebrei 10:20 questo velo rappresenta Cristo venuto in carne.

Il cortile era formato da pioli e cortine (Esodo 27:9-19). Può essere utile sottolineare che la lunghezza delle cortine era uguale a quella dei teli del tabernacolo posti l’uno di seguito all’altro. L’altezza di queste cortine era di circa due metri e mezzo, per cui era impossibile vedere al di fuori ciò che stava avvenendo nel cortile. La porta d’ingresso del cortile era ampia dieci metri e mezzo; niente impediva all’israelita di entrare per essa, però doveva portare un sacrificio. Il primo oggetto che si trovava entrando nel cortile era l’altare (Esodo 27:1-8), luogo per l’offerta dei sacrifici. La conca di rame di cui non conosciamo le dimensioni era posta fra l’altare e il tabernacolo. Serviva per lavarsi, cosa che doveva essere fatta dal sacerdote che si apprestava ad entrare nella tenda di convegno oppure quando si apprestava a sacrificare.

Il luogo santo. Entrare nel luogo santo era privilegio esclusivo dei sacerdoti. All’interno di esso si trovavano la tavola dei pani della presentazione a destra, il candelabro a sette bracci a sinistra e l’altare d’oro al centro davanti al velo. Quest’ambiente era illuminato solo dalla luce del candelabro. Era davanti all’altare d’oro (o dei profumi), dove veniva bruciato l’incenso, che il sommo sacerdote intercedeva per il popolo; l’incenso era destinato unicamente a Dio e poteva essere offerto solo nel luogo santo e consumato solo da un fuoco preso dall’altare di rame.

Il luogo santissimo era chiuso dal velo; nessuno poteva entrarvi escluso il sommo sacerdote che vi accedeva una volta l’anno e con del sangue (Levitico 16). In questo ambiente si trovavano: l’arca del Patto (Esodo 25:10-22) fatta di legno d’acacia rivestita di oro puro, coperta dal propiziatorio (Esodo 25:17-21). Quest’ultimo era d’oro puro sormontato da due cherubini d’oro battuto con i quali formava un unico blocco. La parola«propiziatorio» deriva da una radice,che significa «coprire», perché i peccati confessati venivano, per così dire, solo «coperti» (Salmo 32:1), in attesa che attraverso l’opera di Cristo venissero cancellati (Ebrei 10:4,11- 18). «Propiziatorio» viene tradotto nella lingua inglese Mercyseat, espressione che contiene anche l’idea di grazia e misericordia. Era considerato il luogo d’incontro tra Dio e gli uomini. Nell’arca si trovavano le tavole della legge sulla cui base era stato sancito il patto al Sinai, un vaso d’oro (Esodo 16:32- 34) che conteneva della manna, e la verga di Aaronne che era germogliata. Attraverso questi tre elementi importanti, Dio voleva continuamente ricordare al suo popolo l’amore di cui lo aveva circondato e il modo miracoloso con cui lo aveva guidato nel passato.

Il Santuario celeste

Comunemente si pensa che il Santuario terrestre appartenga all’economia dell’AT e quello celeste all’economia del Nuovo Testamento (NT). La domanda che ora vogliamo porci è se possiamo già parlare di Santuario celeste nel periodo dell’AT. Non è facile rispondere, perché l’AT ha molto da dire circa il Santuario terrestre, e il poco che dice circa quello celeste spesso non è molto esplicito.

Da quanto detto finora possiamo capire che il tema del Santuario celeste nell’AT non è preminente, ma potremo considerare alcuni aspetti, come ad esempio le relazioni fra cielo e terra, le residenze di Dio in cielo e in terra ed infine le visioni profetiche che descrivono il Santuario celeste attraverso quello terrestre.

Nell’AT troviamo elementi che possono aiutarci a comprendere il Santuario celeste come corrispettivo del Santuario terrestre, ma non semplicemente in termini strettamente materiali (mattone per mattone, o cubito per cubito). Il Santuario celeste serve come modello di quello terrestre, ma non solo nei termini appena riferiti; si potrebbe dire che il Santuario terrestre si estende nel celeste e riceve il suo significato da esso. Pensiamo alla residenza di Dio in cielo e in terra (Esodo 25:8; Salmo 9:11). Il Santuario di Dio si trova in Sion: «Ti mandi soccorso dal Santuario, e ti sostenga da Sion» (Salmo 20:2). Ma viene anche situato in cielo: «La sua (di Dio) potenza è nei cieli. Tu sei tremendo nel tuo Santuario» (Salmo 68:34,35). Dio è adorato nel suo Tempio a Gerusalemme (Salmo 5:7), ma anche nel suo tempio celeste: «L’Eterno è nel tempio della sua santità; l’Eterno ha il suo trono nei cieli» (Salmo 11:4). Naturalmente nell’AT non troviamo riferimenti ad un cerimoniale del Santuario celeste, ed i servizi nel Santuario terrestre non devono essere considerati simboli o rappresentazioni dei servizi del Santuario celeste. La relazione dei due santuari dovrebbe essere considerata di tipo funzionale piuttosto che materiale o spaziale. I passi che dovrebbero essere maggiormente studiati per gettare più luce sul Santuario celeste sono quelli relativi alle visioni del trono di Dio: Isaia 6:1-4; Ezechiele 1:40-43; Zaccaria 3. Dopo uno studio accurato di questi passi ecco le conclusioni alle quali perviene N.E. Andreasen: «Il santuario terrestre si fonde con quello celeste, fornendo una scala di collegamento tra l’uomo e Dio, legando così il cielo e la terra. Le sue strutture, i suoi arredi e servizi ,articolano realtà divine in modo che possano essere comprese dall’uomo. I due santuari sottolineano una importante distinzione per l’AT tra il trascendente e il vicino a Dio, ma insegnano anche che questa distinzione può essere superata in una esperienza dove simbolicamente cielo e terra si incontrano. Per un cristiano, ciò certamente ha implicazioni cristologiche, come l’evangelista Giovanni comprese così bene quando scrisse: «La parola è stata l’atta carne e abitò (pose il suo tabernacolo) tra noi (Giovanni 1:14)».

Il Santuario nel Nuovo Testamento

I termini greci per Santuario sono hagion, col significato di «messo da parte», e skenè, «tabernacolo», «luogo dove abita la Divinità». Poi abbiamo tre termini per «tempio»: naos, che sta ad indicare il complesso dei luoghi situati entro il perimetro sacro e anche il Tempio propriamente detto; ieron che designa spesso i vestiboli esterni dove i pagani potevano accedere; oicos, casa, era un termine conosciuto nel greco classico col senso di «tempio», «casa della divinità». Il suo uso con questo significato è assai frequente nei LXX. Nel NT il Tempio è detto anche oicos Kuriou, « casa del Signore». Nei Vangeli oicos può indicare il santo dei santi (Lc 11:51), ma di solito ha un valore più generale conglobando il naos o Santuario e lo ieron o complesso dei luoghi sacri.

Quando cominciamo una lettura dei tesai dei Vangeli per conoscere qual è stato l’atteggiamento di Gesù nei confronti del l’empio (riferendoci al NT parleremo di l’empio anziché di Santuario o tabernacolo), notiamo subito due elementi in contrapposizione tra loro: Gesù ha un immenso rispetto del Tempio e nello stesso tempo, nonostante le critiche sugli abusi e sul formalismo, Egli afferma un superamento del Tempio. Infatti Egli dichiara che il regime religioso del Tempio è finito e che il Tempio è sostituito dalla sua Persona. Basti pensare a episodi come la purificazione del Tempio, oppure alla risposta data da Gesù ai Giudei che domandavano un segno per autenticare la sua missione: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farti risorgere». Il senso di questa espressione è così chiarito da Giovanni: «Egli parlava del tempio del suo corpo» (Giovanni 2:19-21). Secondo questo passo, il vero Santuario è il corpo di Gesù; infatti Gesù ha realizzato i vari modi della presenza di Dio in mezzo al popolo. Presenza con la parola, con la gloria, presenza del «Verbo» tra noi. Per indicare questo concetto, Giovanni ha ripreso il verbo schenoun, «abitare sotto una tenda», che faceva pensare alla Presenza dell’Esodo, ma il suono stesso della parola riecheggiava shekinah, presenza di Dio in mezzo al popolo.

Ma Gesù stesso parla di distruzione e di resurrezione del Tempio, cioè di se stesso che sarebbe stato immolato per i peccati di molti. L’evangelista Giovanni presenta il sacrificio di Cristo come verificatosi esattamente nel momento in cui nel tempio si stava immolando la vittima pasquale. Paolo successivamente dirà: «La nostra Pasqua, Cristo, è stata immolata» (1 Corinzi 5:7). Matteo nel suo vangelo fa riferimento a un altro avvenimento verificatosi nel momento in cui Gesù rese lo spirito: «Ed ecco, la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo…» (Matteo 27:51). Ciò ci induce a comprendere le precedenti parole di Gesù: si è arrivati al momento in cui non si ha più bisogno del Tempio per ricevere il perdono dei peccati tramite un sistema sacrificale da Dio stesso comandato, ma il vero sacrificio si è ora realizzato. Ed ecco che Gesù si sostituisce anche alla funzione che precedentemente veniva svolta dal Tempio.

Non possiamo parlare di questo tema senza toccare l’epistola agli Ebrei nella quale Gesù viene molto chiaramente presentato come nostro Sommo Sacerdote: «Ora, il punto capitale delle cose che stiamo dicendo, è questo: che abbiamo un tal Sommo Sacerdote, che si è posto a sedere alla destra del trono della maestà nei cieli, ministro del Santuario e del vero tabernacolo che il Signore e non un uomo ha eretto» (Ebrei 8:1,2).

Il tema si articola su tre idee principali:

  1. Con Cristo comincia un sacerdozio completamente nuovo, non più terreno come quello di Aaronne, ma un sacerdozio celeste.
  2. A questo nuovo sacerdozio corrisponde un Santuario celeste che è finalmente il vero.
  3. Cristo è entrato nel santo dei santi, luogo della piena comunione con Dio; egli nostro Sommo Sacerdote, vi è entrato come precursore.

Con la stessa gioia con cui l’autore esclama: «Noi abbiamo un Sommo Sacerdote», non si stanca di ripetere: «Noi abbiamo per mezzo di Lui accesso al Padre», possiamo cioè avvicinarci a Dio nel suo Santuario.

Proprio attraverso Cristo diventa veramente accessibile a noi tutti il più segreto del Santo dei Santi. In contrasto con l’idea dominante dell’economia mosaica per cui il popolo era tenuto lontano dalla presenza di Dio, ora si parla di un libero e facile accedere di tutti a Dio stesso. (Altri testi sul Santuario celeste nell’epistola agli Ebrei 8:2-5; 9:8; 9:24; 10:19).

Il libro dell’Apocalisse parla del Tempio usando termini ed immagini che si riferiscono al Tempio di Gerusalemme; ma anche in questo libro si parla di un Tempio terrestre e di uno celeste. Questo libro ci presenta una visione della storia terrena dominata dalla realtà celeste: la chiesa è considerata come il Tempio di Dio su questa terra, e i riscattati sono quelli che accompagnano l’Agnello ovunque egli vada. Poiché hanno osservato «i comandamenti di Dio e serbato la fede in Gesù», ed hanno rifiutato di adorare la bestia, essi sono associati alla regalità di Cristo. Come negli scritti profetici, la presenza di Dio è legata al suo Regno, e l’intimità con lui nel suo Tempio alla fedeltà ai suoi comandamenti (cfr. Giovanni 14:23).

Mentre sulla terra si svolge la lotta fra il Regno e l’anticristo, in cielo c’è un tempio (Apocalisse 7:15; 11:1; 11:19) e questo tempio per Giovanni è disposto come il tempio di Gerusalemme, non tanto perché egli si raffiguri il Santuario celeste come quello da lui visto in terra a Gerusalemme, quanto piuttosto perché questo tempio terreno era stato costruito secondo il modello celeste mostrato a Mosè.

La purificazione del Santuario

Proprio attraverso il Santuario Dio voleva istruire il popolo d’Israele circa il suo piano di salvezza. Cristo stesso era al centro dell’istituzione dei sacrifici ed anche il servizio del Santuario era tipo di grandi verità che sarebbero state rivelate in epoche successive. Il ciclo delle cerimonie di espiazione si concludeva con la festa dell’espiazione. Spesso Mosè parlava di un popolo santo e dei peccati del popolo; una tale contraddizione doveva essere eliminata, ed ecco che il Signore aveva previsto un rito di espiazione generale dei peccati di tutta l’assemblea. Evidentemente questa purificazione era imperfetta ed era fatta in attesa della vera purificazione attraverso la quale Dio avrebbe avuto un popolo veramente santo.

La casa di Dio veniva profanata dai peccati commessi ed aveva bisogno di essere purificata e consacrata di nuovo. La Scrittura afferma che era ugualmente necessario che il Santuario celeste fosse a sua volta purificato (Ebrei 9:23). Non è dunque una bestemmia affermare che il Santuario celeste deve essere purificato. Possiamo domandarci perché il Santuario celeste deve essere purificato. A. Vaucher riporta le tre risposte che sono state date a questa domanda:

  1. Perché Satana e i suoi angeli vi hanno ancora accesso. Una tale risposta, come afferma il Vaucher, è contraria al testo che parla dell’espulsione di Satana dal cielo (Apocalisse 12:5,7-10).
  2. Perché i credenti ancora peccatori vi hanno accesso tramite la fede. Questa volta ci avviciniamo alla verità.
  3. Perché i peccati dei credenti sono stati trasferiti nel Santuario celeste dove Cristo svolge il ministro sacerdotale. Durante un intero anno gli Israeliti che si pentivano ricevevano il perdono dei peccati confessati, ma c’era ogni anno un atto che ricordava i peccati (Ebrei 10:3); la remissione definitiva era il risultato del servizio che veniva svolto nella festa del gran giorno dell’espiazione, tipo della purificazione del Santuario celeste e della chiesa. Possiamo affermare concludendo questa sezione che l’espiazione del peccato dipende completamente dalla Divinità e in modo particolare dalla persona di Cristo; l’espiazione attraverso il sangue di Cristo «sembra essere una dottrina fondamentalmente psicologica, coerente e razionale» (A. Vaucher).

Non ci siamo soffermati sul servizio che si svolgeva nel Santuario in Israele, ma è molto importante dare almeno alcuni cenni i quali ci aiuteranno poi a comprendere meglio anche le analogie col ministero sacerdotale di Cristo. Nel Santuario si svolgeva un servizio quotidiano ed un servizio annuale. Il servizio quotidiano comprendeva sia sacrifici cruenti che offerte incruente, tanto per il popolo quanto per le singole persone. Per il popolo si offriva un agnello di un anno ogni mattina ed ogni sera accompagnato da offerte pacifiche (farina con olio e vino): Esodo 29:38-42. Ogni giorno si compivano anche i sacrifici per l’espiazione dei peccati individuali. Ma oltre a questo rituale che si svolgeva quotidianamente, ne esisteva un altro che si celebrava annualmente. Il ciclo annuale delle feste religiose si concludeva con la festa dello Yom Kippur, il giorno dell’espiazione. Era la data più importante, perché in quel giorno si svolgeva la purificazione del Santuario (Levitico 23:27-31). «In quel giorno non farete alcun lavoro, perché è un giorno di espiazione, destinato a fare espiazione per voi davanti all’Eterno che è l’Iddio vostro».

Le parole riportate nel precedente testo del Levitico ci aiutano a comprendere l’importanza che questo giorno rivestiva in Israele. Infatti questo giorno è stato spesso chiamato yom hadin, giorno del giudizio. In questo giorno ognuno doveva fare un serio esame di coscienza, pentirsi, umiliarsi e pregare. Il capitolo 16 del libro del Levitico offre una particolareggiata descrizione del rituale sacrificale che veniva svolto in questo giorno. Solo il Sommo Sacerdote officiava ed era vestito con abiti particolari. Egli immolava un giovenco come sacrificio per il peccato ed un capro come olocausto (questo era il sacrificio per sé e per la sua casa). Poi offriva un capro come olocausto per il popolo. Dopo egli traeva la sorte su due capri: uno era offerto in sacrificio per i peccati del popolo, l’altro diventava il capro di Azazel e veniva abbandonato nel deserto dove portava i peccati di cui era stato caricato. Per ogni ébreo il giorno dell’espiazione era anche un giorno di giudizio; Iddio aveva perdonato condizionatamente; i peccati perdonati quotidianamente si erano accumulati nel luogo santissimo. Durante questa festa il peccatore sceglieva il suo capro e si identificava col personaggio da lui rappresentato. Scegliendo il capro per Dio confermava di non aver cambiato idea circa il suo pentimento e riconfermava la sua consacrazione. Il peccatore si separava dal suo peccato in modo che l’espiazione fosse effettuata sulla vittima. Terminata la purificazione, il Sommo Sacerdote, in veste di mediatore caricato dei peccati accumulati nel Santuario, si avvicinava all’ingresso del Santuario confessando i peccati del popolo sul capro di Azazel e faceva portar via il capro nel deserto dove veniva abbandonato (Levitico 16:21,22). In questo modo il peccato perdonato e confessato veniva simbolicamente ma definitivamente allontanato. Grazie a queste cerimonie gli Ebrei avevano una cognizione abbastanza completa della salvezza in Cristo e del giudizio finale.

Noi Avventisti consideriamo i servizi che si svolgevano nel Santuario, quello quotidiano e quello annuale, come tipi delle due fasi del ministero sacerdotale di Cristo nel Santuario celeste.

L’Epistola agli Ebrei presenta il servizio del Santuario come tipo della redenzione vicaria di Cristo al Calvario e il suo ministero di mediazione svolto dopo l’ascensione; per questo motivo consideriamo molto importante la conoscenza del servizio del Santuario per una migliore comprensione del piano della salvezza. In sintesi potremo dire che il giorno dell’espiazione consisteva, in figura, nel passare in rassegna la vita dei figli di Dio e della loro personale relazione con Lui attraverso il servizio del Santuario. Come parte integrale di questa verità del Santuario e strettamente legata ad essa c’è quella del giudizio investigativo (cfr Giudizio). Questo giudizio «consiste nella cancellazione dei peccati confessati dai libri dei cieli e l’eliminazione dal libro della vita dei nomi di coloro che hanno rinunciato a Cristo. Questa fase crediamo si stia svolgendo ora – dal 1844 data derivata dal periodo profetico delle 2.300 sere e mattine di Daniele 8:14» (D.F. NEUFELD, Seventh-Day Adventist Encyclopedia, Review and Herald, Washington D.C. 1976. p 1279).

«Si era già visto che i 2.300 giorni avevano avuto inizio quando era entrato in vigore il decreto di Artaserse relativo alla restaurazione e alla ricostruzione di Gerusalemme e precisamente nell’autunno del 457 a.C. Prendendo questa data come punto di partenza, vi era una perfetta armonia nell’adempimento di tutti gli eventi predetti per quel periodo in Daniele 9:25-27. Sessantanove settimane, e cioè i primi 483 anni di questo lungo periodo, conducevano fino al Messia, all’Unto, e il battesimo di Gesù e la sua unzione di Spirito Santo nel 27 d.C. adempié la predizione. A metà della settantesima settimana il Messia doveva essere «soppresso». Ebbene tre anni e mezzo dopo il battesimo, Cristo venne crocefisso: era la primavera del 31. Le 70 settimane, o 490 anni, erano state riservate esclusivamente agli Ebrei e alla fine di questo periodo la nazione ebraica suggellò il suo rigetto di Cristo con la persecuzione dei suoi discepoli. Allora gli Apostoli si volsero ai Gentili: era il 34 d.C. i primi 490 dei 2.300 erano finiti, ne rimanevano ancora 1810. Partendo dall’anno 34 essi portano al 1844. «Poi», disse l’angelo, «il Santuario sarà purificato». Fino a quel momento tutti i particolari della profezia si erano infallibilmente adempiuti al momento previsto» (E. G. WHITE, Il gran conflitto, Adv, Firenze, 1977, pp. 300-301).

Bibliografia

ANDRÉ, G., Il tabernacolo e il servizio dei Leviti, Messaggero Cristiano, Torino, 1980.

ANDRÉ, G., I sacrifici e le feste del Levitico, Messaggero Cristiano, Torino, 1980.

CASALEGNO, A., Gesù e il tempio, Morcelliana, Brescia, 1984.

EDERSHEIM, A., The temple: its service and ministry, London, 1984.

PELLEGRINI, A.,  Il popolo di Dio e l’anticristo attraverso i secoli, Asti, 1980, pp. 346-416.

WHITE, E.G., Christ in his Sanctuary, Pacific Press, Mountain View, 1969.

WHITE, E.G., Il gran conflitto, Edizioni ADV, Firenze, 1977, pp. 287-316.

Bibliografia

Shewmake, C.J., La preghiera personale nel santuario, Edizioni ADV, Firenze, 2012.

Verrecchia, C., Dio senza fissa dimora, Edizioni ADV, Firenze, 2014.

La confessione di fede degli Avventisti del 7° Giorno, Le 28 verità bibliche fondamentali, Edizioni ADV, Impruneta Firenze, 2010, cap. 24.

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