SUPPLEMENTI PER LA LETTURA E L’APPROFONDIMENTO
DECALOGO
di Paolo Tramuto
(dal libro AA.VV., Dizionario di dottrine bibliche, Edizioni ADV, Falciani Impruneta FI, 1990)
Greco: deka logoi, «dieci parole».
Questa espressione letteraria (ebraico: ‘esseret haddevarîm) si trova contenuta in due brani dell’Antico Testamento: Esodo 34:28; Deuteronomio 10:4. Il senso di questa espressione è indicativo dell’alta considerazione in cui era tenuta «la Parola del Signore» e del valore delle stesse «dieci parole», sintesi di tutta la Rivelazione. Il «decalogo» col tempo, in un’epoca ancora imprecisata, assunse il significato di dieci comandamenti. La spiegazione potrebbe ricercarsi nel fatto che ognuna delle «dieci parole» del Signore riveste tale e tanta autorità da costituire – anche quando ha forma di proibizione – un ordine, ovvero un comando: un comandamento.
Sinonimi di decalogo sono le espressioni: «la testimonianza» (Esodo 25:16), «le tavole della testimonianza» (Esodo 31:18), «le parole del patto» (Esodo 34:28), ecc.
I Dieci Comandamenti: Esodo 20:2-17
«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti fatto uscire dall’Egitto, dove tu eri schiavo. Non avere altro Dio oltre a me».
«Non fabbricarti nessun idolo e non farti nessuna immagine di quello che è in cielo, sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non devi adorare né rendere culto a cose di questo genere. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio e non sopporto di avere rivali, punisco la colpa di chi mi offende anche sui figli, fino alla terza e alla quarta generazione; al contrario tratto con benevolenza per migliaia di generazioni chi mi ama e ubbidisce ai miei ordini».
«Non usare il nome del Signore, tuo Dio, per scopi vani, perché io, il Signore, punirò chi abusa del mio nome».
«Ricordati di consacrarmi il giorno di sabato: hai sei giorni per fare ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato consacrato al Signore, tuo Dio: in esso non farai nessun lavoro: né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame e neppure il forestiero che abita presso di te. E farai così perché io, il Signore, ho fatto in sei giorni il cielo, la terra e il mare e tutto quel che contengono, ma poi mi sono riposato il settimo giorno; per questo ho benedetto il giorno di sabato e voglio che sia consacrato a me».
«Rispetta tuo padre e tua madre perché tu possa vivere a lungo nella terra che io il Signore tuo Dio ti do».
«Non uccidere».
«Non commettere adulterio».
«Non rubare».
«Non testimoniare il falso contro nessuno».
«Non desiderare quel che appartiene a un altro: né la sua casa, né sua moglie, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino».
Storia
Il decalogo, proclamato sul Sinai a Mosè e a tutto Israele, costituisce un punto fermo della storia del popolo di Dio. Esso poggia sulla esperienza religiosa e sociale della liberazione dalla schiavitù egiziana per opera di ripetuti interventi divini e, pertanto, rappresenta il codice-rivelazione intorno al quale si ricostituisce il popolo di Dio, erede della fede di Abramo (Esodo 20:2; 19:4-6; Genesi 22:17).
Il decalogo fu espressamente scritto col dito di Dio e ciò per significare la portata di questo codice-rivelazione, sia per Colui che lo dà sia per coloro che lo ricevono. Tale importanza, d’altronde, fu sottolineata dalla collocazione del decalogo nell’ambito di un’area sacra: in effetti esso fu destinato a essere posto nel luogo cosiddetto santissimo del Santuario, e in una cassa rivestita d’oro chiamata arca dell’alleanza, espressione di un rapporto, ovvero di un patto stipulato fra Dio e il suo popolo (Ebrei 9:4; Deuteronomio 10:5).
Le dieci parole o dieci comandamenti, furono scritte su due tavole di pietra ognuna delle quali conteneva un certo numero di comandamenti. La scomparsa delle due tavole ha impedito una reale verifica del modo in cui i comandamenti sono stati distribuiti. In un primo momento si pensò di dividerli equamente: 5 per tavola. In epoca più recente furono suddivisi secondo il significato attribuito loro da Gesù, in riferimento ai testi dell’Antico Testamento: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua e con tutta la mente tua. (…) Ama il prossimo tuo come te stesso». (Matteo 22:37-39; Marco 12:30-33, ecc.; Deuteronomio 6:5; Levitico 19:18).
Secondo questa dichiarazione i primi quattro comandamenti riguardano il rapporto dell’uomo con Dio e andrebbero sistemati su una tavola e i rimanenti sei, riguardanti il rapporto dell’uomo con i suoi simili, nell’altra.
Tuttavia non abbiamo alcuna prova che convalidi questa o quell’altra ipotesi. Siamo nel campo della congettura.
Per quel che riguarda la stesura del testo, ovvero la sua suddivisione in dieci comandamenti, ci sono state nel corso della storia diverse collocazioni. La scelta è dipesa in gran parte dal senso da attribuire all’uno o all’altro dei comandamenti, e ciò in riferimento soprattutto al secondo e all’ultimo comandamento.
La tradizione ebraica accetta come secondo comandamento, diversificandolo dal primo, il testo: «Non fabbricarti nessun idolo e non farti nessuna immagine di quello che è in cielo, sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non devi adorare né rendere culto a cose di questo genere…». Di conseguenza unifica in un solo comandamento il testo: «Non desiderare quel che appartiene ad un altro: né la sua casa, né sua moglie, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino». Questa stessa suddivisione è stata salvaguardata dalla tradizione ebraica ellenistica, dalla chiesa orientale e da quella occidentale. Ma a partire da S. Agostino la chiesa latina assunse un’altra posizione, non riconoscendo la necessità di suddividere il comandamento di avere un unico Dio, da quello della proibizione di rendere un culto alle immagini e, per contro, suddividendo in due l’ultimo comandamento riguardante il desiderare la donna e i beni degli altri.
Pertanto oggi viene così trascritto e insegnato:
Decalogo (o dieci comandamenti o dieci parole)
Io sono il Signore, tuo Dio.
- Non avrai altro Dio di fronte a me.
- Non pronunziare invano il nome del Signore tuo Dio.
- Ricordati di santificare le feste.
- Onora tuo padre e tua madre.
- Non uccidere.
- Non commettere atti impuri.
- Non rubare.
- Non pronunziare falsa testimonianza.
- Non desiderare la donna d’altri.
- Non desiderare la roba d’altri.
A prescindere dalla sintetizzazione del testo, si noterà subito la scomparsa del secondo comandamento (com’era considerato dalla tradizione ebraica): «Non fabbricarti nessun idolo e non farti nessuna immagine… Non devi adorare, né rendere culto a cose di questo genere…», conglobato abusivamente nel primo, «Non avrai altro Dio di fronte a me», che tuttavia viene a trovarsi un po’ monco, avendo spostato erroneamente la prima parte «Io sono il Signore tuo Dio» come capoverso di tutto il decalogo.
Il lettore noterà ancora l’illecita suddivisione: «Non desiderare la donna d’altri e «Non desiderare la roba d’altri», contrariamente alla lettera e allo spirito del comandamento che sanzionava molto semplicemente: «Non desiderare quel che appartiene ad un altro…».
Quel che comunque lascia maggiormente perplessi è la modifica del testo originale del comandamento (il IV nella tradizione ebraica): «Ricordati di consacrarmi il giorno di sabato: hai sei giorni per fare ogni tuo lavoro, ma il settimo giorno è il sabato consacrato al Signore, tuo Dio…».
Il nuovo testo: «Ricordati di santificare le feste» non può essere assolutamente considerato biblicamente e storicamente come Parola del Signore. Esso è una modifica illegittima di una delle dieci parole del Signore, che pertanto dovremmo avere il coraggio di ripristinare nel suo originale significato rispettando così pienamente la volontà divina.
Valore teologico
Si è molto discusso sul significato da attribuire alle varianti esistenti fra il testo del decalogo contenuto in Esodo 20:2-17 da quello di Deuteronomio 5:6-21. Tali varianti, del resto poco numerose, dovrebbero essere considerate nel contesto dello stesso libro che racchiude le esortazioni finali rivolte da Mosè al popolo. A ben guardare il testo, Mosè non cambia nulla. Le varianti, soprattutto quella relativa ai testo sabatico (5:15,16), non alterano affatto il testo originale che resta quello di Esodo 20, anche se aggiungono una nota esortativa ed esplicativa.
In questo contesto non è più Dio che comanda, ma è Mosè che ricorda al popolo i comandamenti di Dio raccomandandone l’obbedienza (Deuteronomio 5:12-16).
Alla luce dell’Antico e del Nuovo Testamento i Dieci Comandamenti non hanno mai perduto il loro valore e la loro importanza pedagogica, sociale, morale e spirituale. Il decalogo resta ancora oggi un punto di riferimento per il popolo di Dio. La sua osservanza qualifica la fede del credente (Giacomo 2:10,14; Apocalisse 22:12). L’obbedienza al comandamento dovrebbe essere considerata come regola di vita per tutti (Matteo 19:17; 1 Corinzi 7:19; 1 Giovanni 5:2,3; Apocalisse 14:12).
Tuttavia, nell’osservare il comandamento divino il vero credente non si atterrà unicamente alla lettera, ma considererà attentamente il valore dello spirito del comandamento, uniformandosi allo spirito di servizio e d’amore manifestato dallo stesso Gesù Cristo (2 Corinzi 3:6; Matteo 22:36-40; Ebrei 8:10; Filippesi 2:5-8).
OBBEDIENZA
di David Ferraro
(dal libro AA.VV., Dizionario di dottrine bibliche, Edizioni ADV, Falciani Impruneta FI, 1990)
Greco: hupakoé, obbedienza, da hupakouo, obbedire, conformarsi a un ordine. In Ebraico il termine più usato è shama e derivati che significa letteralmente «ascoltare».
- Nell’Antico Testamento (AT) obbedienza significa ascolto di ciò che l’Eterno dice e messa in pratica dei suoi comandamenti. Vi è una stretta relazione tra obbedire e udire. Dio parla, si manifesta, sia mediante la predicazione di un profeta, sia mediante la promulgazione di una legge. Il fedele che ama Yahweh, quando ascolta ciò che Egli dice, risponde obbedendo, cercando di mettere in pratica la sua parola. Numerosi sono i passi nei quali si parla di obbedire alla voce dell’Eterno (1 Samuele 15:20; 1 Re 20:36; 2 Re 18:12; Deuteronomio 13:4; 15:5; 26:17; 27:10; Giosuè 24:24; Geremia 42:6).
In Deuteronomio 11:27 e 28:15 i fedeli sono invitati a obbedire ai comandamenti dell’Eterno. Nell’AT l’obbedienza è la volontaria, libera sottomissione del credente alla autorità e alla Parola di Yahweh, del Dio che crea, che perdona, che redime e che promette prosperità e benedizioni a coloro che lo ascoltano e obbediscono alla sua Parola (Deuteronomio 11:8,9,26,27; 30:11-20).
Obbedienza nell’AT non è fredda e formale osservanza di ciò che comanda l’Eterno, ma è espressione di amore (Deuteronomio 10:12; 6:5,6) e di riconoscenza per le grandi cose che Iddio ha fatte in favore del suo popolo (Deuteronomio 11:1-8).
Tra i vari testi dell’AT dove si parla di obbedienza (1 Samuele 15:22; Genesi 26:5; Deuteronomio 13:4) degno di nota è Esodo 24:7, dove il popolo di Israele, dietro esortazione di Yahweh, risponde e confessa: «Noi fare mo tutto quello che l’Eterno ha detto, e ubbidiremo». Nell’AT l’obbedienza a Dio e ai suoi comandamenti si traduce anche in obbedienza nei vari rapporti umani: il figlio deve obbedire al padre, lo schiavo al padrone, il suddito al re (Genesi 28:7; 1 Samuele 8).
- Nel Nuovo Testamento (NT) la parola obbedienza è applicata ad una grande varietà di rapporti. I venti e il mare obbediscono al comando di Gesù (Matteo 8:27 e parall.), gli obbediscono gli spiriti immondi (Marco 1:27). Nelle sue epistole Paolo parla dell’obbedienza alle concupiscenze e al peccato (Romani 6:12-16) che caratterizza l’uomo prima dell’incontro con Dio, ma usa lo stesso termine per descrivere l’obbedienza della fede (Romani 1:5; 16:26); l’obbedienza a Cristo (2 Corinzi 10:5); all’evangelo (Romani 10:16; vedi 1 Pietro 4:17). Pietro chiama i credenti «figli di obbedienza» (1 Pietro 1:14); essi devono obbedire «alla verità» (1 Pietro 1:22; cfr. Romani 2:8; Galati 5:7) per arrivare ad un amore fraterno non finto.
Il NT invita i seguaci di Cristo a obbedire alle autorità civili (Romani 13:1,2), ai magistrati (Tito 3:1) e ai conduttori spirituali (Ebrei 13:17). I figli devono obbedire ai genitori (Efesini 6:1; Colossesi 3:20). Qualora il credente si trovasse in una situazione di conflitto tra obbedienza a Dio e obbedienza all’uomo e alle sue istituzioni, egli è chiamato ad «ubbidire a Dio anziché agli uomini» (Atti 5:29) essendo Dio e la sua Parola autorità superiore a tutto e a tutti.
- L’obbedienza è la risposta dell’uomo che si sente oggetto dell’amore e delle cure divine. Il fedele obbedisce non per essere salvato (legalismo), ma perché egli è stato salvato e perché non prova altro che il desiderio di essere e di fare ciò che Dio si aspetta e desidera dai suoi figliuoli. Il credente desidera obbedire a Colui che lo ha redento e che è stato perfetto e unico esempio di obbedienza e di sottomissione, Gesù Cristo (Matteo 5:17).
L’obbedienza della fede (Romani 1:5) non è obbedienza fine a se stessa, non è mai una virtù a se stante. Essa è la volontaria e libera sottomissione all’amorevole cura del Padre e del Figlio; essa è riconoscimento dell’autorità del Dio che non solo ci ha creati ma ci ha anche redenti in Cristo e ci ha promesso la vita eterna. Obbedire significa impegnarsi a vivere in armonia con la volontà di Dio, così come è espressa e contenuta nelle Sacre Scritture.
- Il cristiano vive in una società dove i valori morali e il principio d’autorità sono sempre più frequentemente abbandonati e scherniti, dove tutto è misurato con il falso metro dell’individualismo e del relativismo. In questo contesto dove sembra prevalere il qualunquismo, l’indifferenza, persino l’anarchia, l’uomo è esortato dalle Sacre Scritture a riconoscere l’autorità di Gesù Cristo, Signore dei signori, Re dei re (Apocalisse 17:14). Il Salvatore ci invita a sottometterci con gioia alla sua autorità e alla sua Parola che sola pub dare un pieno e nuovo significato alla nostra vita.
«Sottomettetevi dunque a Dio… Avvicinatevi a Dio, ed egli si avvicinerà a voi. Pulite le vostre mani, o peccatori; e purificate i vostri cuori, o doppi d’animo!» (Giacomo 4:7,8).
Bibliografia
AA.VV., Dieci parole per amare la vita, Edizioni ADV, Impruneta Firenze, 2001.
(Questo libro è esaurito – lo si può trovare in qualche libreria di chiesa o famiglia avventista)
Badenas, R., Legge di libertà, Edizioni ADV, Impruneta Firenze, 2004.
Wade, L., I dieci comandamenti, Edizioni ADV, Impruneta Firenze, 2010.
Per acquistare questi volumi puoi visitare il sito: www.edizioniadvshop.it o richiederlo al responsabile della libreria di chiesa della comunità avventista che frequenti)
LA LEGGE DI DIO