Buone Notizie #15

SUPPLEMENTI PER LA LETTURA E L’APPROFONDIMENTO

LEGGE

di Antonio Caracciolo

(dal libro AA.VV., Dizionario di dottrine bibliche, Edizioni ADV, Falciani Impruneta FI, 1990)

«Legge» nella Bibbia è una nozione che presenta una molteplicità di aspetti più o meno differenziati per distinguere i quali l’Antico Testamento (AT) usa più di una mezza dozzina di termini. Una analoga diversificazione lessicale nell’ambito della nozione generale di «legge» si riscontra nel Nuovo testamento (NT), ove i vocaboli adoperati sono in genere quelli con cui i LXX traducono i termini ebraici al quali si è fatto cenno.

«Legge» nell’Antico Testamento

Uno sguardo ai vocaboli usati nell’AT può dare un’idea della suaccennata varietà di nozioni all’interno del concetto generale di «legge».

Torâh. È il vocabolo di gran lunga più ricorrente (220 volte) per indicare una norma o un insieme di norme emanate da un’autorità incontestata. Il significato fondamentale è «insegnamento», «istruzione», «dottrina», ma di regola la Bibbia usa questa parola col significato di «legge», sia in senso collettivo (Esodo 24:12; Levitico 26:46) che con riferimento a una singola norma giuridica (Numeri 19:14). Torâh nell’AT indica anche l’intero corpo delle leggi mosaiche (Deuteronomio 31:9,11,24; Giosuè 1:7,8; Mal 4:4) come pure l’insieme dei libri di Mosè (Neemia 8:1).

Mizvâh. Vuol dire «comandamento», «ingiunzione», e indica una istruzione o una direttiva divina a cui si deve obbedire (Esodo 15:26; Deuteronomio 5:31; 6:1).

Mishpat. Significa «diritto» in generale (Deuteronomio 17:9) e in particolare «norma del diritto» (Esodo 21:1; Numeri 27:11; Levitico 26:46), «statuto», «prescrizione di legge» (Deuteronomio 4:8; 5:31; 6:1; 12:1), e anche «causa giudiziaria», «sentenza» (Deuteronomio 16:18).

‘Eduth. Si traduce comunemente «testimonianza» e spesso nell’AT indica la legge di Dio (2 Re 11:12) e specificamente il Decalogo (Esodo 25:16; 31:18; 32:15; 40:20). L’Arca del Patto è detta «Arca della Testimonianza» (Esodo 25:22), forse perché in essa si custodivano le tavole della legge che erano anche note come «tavole della testimonianza» (Esodo 31:18; 40:20; Deuteronomio 10:5). A volte il Santuario è chiamato «tenda della testimonianza» (Numeri 9:15; 10:11; 17:8), probabilmente perché vi era custodita l’Arca della Testimonianza.

Chuqîm. Vuol dire «statuti», «prescrizioni», e indica qualcosa che è permanente e immutabile (Levitico 26:46; Deuteronomio 4:8; 12:1). La forma singolare (chuq o chuqâh) è rara (Numeri 27:11).

Piqudîm. Significa «ordini», «precetti» e ricorre soltanto nei Salmi (Salmo 19:8; 103:18; 119:56 ecc.) in riferimento ai precetti dettati da Dio.

Dâvâr. Il significato letterale di questo termine è «parola», ma esso assume nell’AT anche i significati secondari di «decreto», «ordine», «comandamento». Quando è usato in un contesto giuridico, praticamente è sinonimo di Torâh. In vari punti del Pentateuco devarîm (forma plurale di Dâvâr) indica in modo specifico i 10 comandamenti («le dieci parole»: Esodo 20:1; 24:4,8; 34:27,28; Deuteronomio 4:13; 10:4, ecc.).

Da questa rapida rassegna lessicale appare evidente che presso gli Ebrei il concetto generale di «legge» poteva essere precisato con tutta una gamma di termini tecnici. A questo si deve aggiungere che nel Pentateuco sono distinguibili gruppi più o meno estesi di prescrizioni di legge i quali per una certa omogeneità interna fanno pensare a raccolte a sé stanti di norme giuridiche. Tali raccolte si trovano nei brani seguenti:

Esodo 20:22-23:19. Si tratta di un insieme di prescrizioni etiche e religiose che allargano la portata delle norme concise del Decalogo e le applicano ai casi disparati della vita quotidiana in seno a una società di tipo pastorale. Questo gruppo di leggi mosaiche è stato denominato Codice dell’alleanza.

Esodo 34:11-26. È una breve raccolta di precetti vari riguardanti le feste agricolo-religiose e vari tipi di sacrifici, a cui è stato dato il nome di Codice rituale.

Levitico 17-26. In questa estesa sezione del Levitico sono raccolte disposizioni e prescrizioni giuridiche che hanno come motivo dominante la preservazione della santità d’Israele e che perciò hanno ricevuto il nome di Codice di santità.

Levitico 1-16. I primi 16 capitoli di questo libro contengono prescrizioni dettagliate sui sacrifici rituali (capp. 1-7), norme relative alla consacrazione dei sacerdoti (capp. 8-10) e disposizioni concernenti la purità dei sacerdoti stessi (capp. 11-16). Gli studiosi del diritto mosaico chiamano Codice sacerdotale questa sezione del Levitico.

Deuteronomio 12-26. È una raccolta di leggi nuove e leggi già codificate nelle collezioni più antiche ma riformulate in termini più rispondenti alle nuove esigenze di una società agricolo- pastorale sedentarizzata. Le leggi deuteronomiche furono dettate da Mosè nelle pianure di Moab quando già era in vista la Terra Promessa. Codice deuteronomico è il nome che ha ricevuto questa collezione di leggi mosaiche.

Esodo 20:2-17. È la legge morale dei 10 comandamenti. I comandamenti del Decalogo, non vincolati come le altre leggi mosaiche a fattori contingenti e mutevoli, come il tempo e l’ambiente geografico e socio-culturale, sono parametri universali. Essi hanno a che vedere con gli obblighi morali essenziali dell’uomo, uguali per tutti gli uomini e validi in tutti i tempi.

Valore permanente del Decalogo. Varie circostanze messe in luce nelle Scritture sottolineano il valore assoluto e permanente dei 10 comandamenti in contrasto col valore contingente e transitorio delle altre leggi mosaiche.

  1. La redazione del Decalogo ascritta a Dio. Mentre la stesura delle leggi cerimoniali, civili ed economiche d’Israele è attribuita a Mosè (Deuteronomio 31:9,24-26), la promulgazione e la fissazione materiale dei 10 comandamenti sono insistentemente ascritte a Dio (Esodo 20:1; 31:18; 32:16; 34:1,28; Deuteronomio 4:13; 5:4,5,22; 10:4).
  2. Il Decalogo inciso sulla pietra. Se le leggi relative alla vita socio-economica e cultuale d’Israele furono scritte in un «libro»: Deuteronomio 31:24 (cioè in un rotolo di pelle animale), i 10 comandamenti furono gravati sulla pietra (Esodo 24:12). È significativo il contrasto fra la pietra, materiale solido e duraturo, e la pelle animale, sostanza fragile e deperibile, un contrasto che sottolinea il valore permanente del Decalogo rispetto al valore transitorio delle altre leggi.
  3. Le tavole con i comandamenti custodite nell’Arca. Il «libro» contenente le leggi destinate a disciplinare la vita sociale, economica e religiosa d’Israele fu affidato ai Leviti e fu custodito nel Santuario accanto all’Arca del Patto (Deuteronomio 31:24- 26). Le tavole dei comandamenti furono invece deposte dentro l’Arca (Esodo 25:16,21; 40:20; Deuteronomio 10:2,5; 1 Re 8:9; Ebrei 9:4), la quale, essendo il segno visibile della presenza invisibile di Yahweh fra il suo popolo (Esodo 25:22; Salmo 132:7,8), rappresentava l’arredo più sacro del Santuario. La collocazione dei 10 comandamenti nell’Arca ne sottolineava la superiorità rispetto alle altre leggi.
  4. I 10 comandamenti enunciati in termini imperativi. I 10 comandamenti sono enunciati tutti quanti nella forma imperativa: «Non avere altri dèi…», «Non uccidere», «Non rubare», ecc. Questa forma di espressione sintetica e incisiva, detta apodittica, esprime il pensiero in modo assoluto e categorico. Le leggi degli altri «codici» mosaici solo in minima parte sono formulate in termini imperativi; per la massima parte sono invece espresse in una forma relativa: «Se compri un servo…» (Esodo 21:2), «Chi offre sacrifici ad altri dèi…» (Esodo 22:20) ecc. In questa forma, detta casuistica, sono formulate le leggi dei popoli antichi come i Sumèri, gli Egiziani, i Babilonesi, gli Assiri, gli Hittiti, ecc. Le leggi casuistiche nascono dalla consuetudine o dalla tradizione e sono condizionate dalla necessità di adeguare il diritto alle mutevoli condizioni sociali, culturali ed economiche. La forma apodittica dei 10 comandamenti ne sottrae gli imperativi ad ogni relativizzazione e condizionamento e rivela che essi promanano da una Autorità che si pone al disopra di ogni e qualsiasi autorità terrena.
  5. Il Decalogo fondamento dell’Alleanza. Le tavole con i 10 comandamenti sono dette nella Bibbia «le tavole del patto» (Deuteronomio 9:9,11,15; Ebrei 9:4) o tout court «il patto» (1 Re 8:21; 2 Cronache 6:11) perché il Decalogo costituì il fondamento del patto di Dio con Israele (Esodo 34:28; Deuteronomio 4:13), evento questo decisivo per la storia d’Israele e nella storia della salvezza. L’immutabile legge di Dio ha un ruolo importante anche nel Nuovo Patto, con la differenza che anziché essere scritta su 2 tavole di pietra è interiorizzata nel cuore dell’uomo (Geremia 31:31-33; Ebrei 8:10; 10:16).

La solenne liturgia del Tempio con i suoi sacrifici quotidiani e le sue feste annuali e con essa tutta la legislazione che ne regolava lo svolgimento – erano destinate a scomparire, non essendo che «ombra di futuri beni» (Ebrei 10:1), ma il Decalogo, prescrivendo il rispetto di diritti divini e umani che il tempo non altera e non sopprime, non poteva e non doveva essere abrogato o modificato.

«Legge» nel Nuovo Testamento

Come nell’AT, «legge» nel Nuovo è una nozione con molte sfaccettature. I termini adoperati dagli scrittori del NT per esprimere le varie sfumature di questo concetto generale, come si è detto, sono attinti nel vocabolario dei LXX. Questa versione greca dell’AT traduce di, regola nómos («legge») la parola ebraica torâh. Tuttavia occasionalmente nómos nei LXX traduce anche i termini ebraici mizvâh (Proverbi 6:20), dâvâr (Salmo 119:57) e chuq (Giosuè 24:25), ma di norma questi vocaboli ebraici sono resi con altri termini greci: mizvâh con entole («decreto», «comandamento»), chuq con próstagma («ingiunzione»), mishpat con dikaióma («dichiarazione») e i suoi derivati (vedi The Intern. Standard Bible Encycl., vol. III, p. 77).

La parola greca nómos è di gran lunga la più adoperata nel NT per esprimere concetti giuridici, ed è usata con grande flessibilità. In generale è il contesto che di volta in volta ne precisa il senso. Gravi equivoci possono nascere dal non distinguere le differenze di significato, talvolta rilevanti, che può presentare questo vocabolo greco nel NT. Nómos nei Vangeli, negli Atti e nelle Epistole può significare:

  1. L’AT in generale: Giovanni 10:34; 15:22; Romani 3:19; Galati 4:21 sp; ecc.
  2. Una parte dell’AT, cioè il Pentateuco: Luca 24:44; Giovanni 1:45; Atti 28:23; Romani 3:21 sp.
  3. La legge mosaica nel suo insieme: Galati 5:4; 3:10-12; Ebrei 10:28.
  4. La legge cerimoniale o rituale: Ebrei 9:22; 10:1.
  5. Il regime legalistico (cioè la pretesa di ottenere la salvezza mediante l’osservanza della legge): 1 Corinzi 9:20; Galati 3:19-24; 4:5; 5:18.
  6. Un principio generale che regola la condotta della vita umana: Romani 3:27; 7:23; 8:2.
  7. Norma generale di comportamento: Romani 4:15 sp; Galati 6:2.
  8. Norma giuridica della legge civile: Romani 7:1-3.
  9. Il Decalogo: Matteo 5:18; Romani 2:1215,20-23,26; 3:20,31; 7:7-14; 13:8-10: Galati 5:14; 1 Timoteo 1:8-10; Giacomo 1:25; 2:8-12; 4:11,12.

La ristrettezza dello spazio non consente di approfondire ulteriormente la questione relativa alla pluralità di sensi del vocabolo nómos del NT.

Dall’esame di alcuni passi del NT si vedrà come si atteggiarono verso la legge di Dio Gesù e gli interpreti ispirati del suo insegnamento.

Gesù e la legge. Gesù di fatto prese posizione per la legge divina quando dichiarò di essere venuto non per annullarla ma per compirla (Matteo 5:17). «Compire» (greco pleromai) significa qui «riempire», «completare», «rendere perfetto». Gesù ha completato o reso perfetta la legge mostrandone, aldilà della nuda formulazione letterale («Voi avete udito che fu detto…» ), il profondo contenuto spirituale («ma io vi dico… ») (Matteo 5:21-44). Gesù prese anche posizione contro i detrattori della legge divina quando avvertì che non si può violarla impunemente (Matteo 5:19). Gli scribi e i farisei si reputavano «giusti» perché si attenevano alla lettera dei comandamenti; Gesù esige dai suoi una giustizia ancora maggiore (Matteo 5:20), la giustizia che si realizza con l’osservanza dello spirito dei comandamenti (Matteo 5:21-44).

Secondo Gesù è nell’obbedienza ai comandamenti che si manifesta in concreto l’amore per lui (Giovanni 14:21), come la sua sottomissione al comandamenti del Padre era l’espressione del suo amore per il Padre (Giovanni 15:10). Ancora nell’osservanza dei comandamenti del Decalogo (Matteo 19:18,19) Gesù indicò la via per «entrare nella vita» (Matteo 19:17). «I nuovi comandamenti che Gesù propose al giovane ricco – commenta J. H. Gerstner – cioè vendere i suoi beni a pro dei poveri eseguire lui, non erano che un sommario della legge dell’amore verso Dio e verso il prossimo. Quindi seguire Gesù è lo stesso che osservare i comandamenti per entrare nella vita. E poiché l’osservanza dei comandamenti di Dio e l’osservanza della legge di Cristo sono l’una e l’altra il cammino verso la vita eterna, la legge di Dio e la legge di Cristo sono tutt’uno». In The International Standard Bible Encyclopedia, vol. III, p. 86.

Gesù compendiò nei due comandamenti dell’amore tutta la legge morale e tutto l’insegnamento dei profeti che su quei comandamenti si fondava (Matteo 22:37-40). In tal modo Egli pose alla base dell’adempimento della legge morale una motivazione altruistica, in contrasto col giudaesimo del suo tempo che motivava su base egoistica l’osservanza di quella legge, vale a dire con la pretesa di essere trovati giusti davanti a Dio.

In Matteo 12:1-7 e in Giovanni 5:10,11,16-18, Gesù non si pone al di sopra del IV comandamento del Decalogo, ma contesta la maniera tradizionale giudaica di interpretare e osservare quel comandamento. II suo compito fu anche quello di liberare la legge divina dalle incrostazioni tradizionali che l’avevano sfigurata (Matteo 5:3-6,13).

In Luca 16:16 il Signore non dichiara che la legge morale è decaduta con l’avvento del tempo messianico, infatti subito dopo ne riaffermala stabilità perenne (v. 17). Ciò che secondo Gesù è passato è la dispensazione antica fondata sulla legge di Mosè e sui profeti, giacché essa aveva come fine la preparazione della dispensazione nuova fondata sulla grazia, la quale con la predicazione di Giovanni Battista già aveva fatto irruzione nel mondo.

Il Signore Gesù non solo non dichiarò sorpassati i comandamenti di Dio, ma in varie occasioni ne ribadì il valore per l’uomo (vedi Marco 2:23-28; 7:8-13; Matteo 5:21,22,27 ecc.).

«La riconferma della legge morale da parte di Cristo fu totale. Tutt’altro che affrancare dalla legge i suoi discepoli, Egli ve li avvinse in modo ancora più saldo. Gesù non abolì nessun comandamento, al contrario li intensificò tutti…» (J.H. GERSTNER, in op. cit., p. 88).

Paolo e la legge. Nelle sue epistole Paolo usa 119 volte il termine nómos («legge») e lo usa con tutta una varietà di significati e spesso con implicazioni negative, come ad esempio nella frase «essere sotto la legge» (Romani 6:14; Galati 3:13; 4:15; 5:18, ecc).

«Essere sotto la legge» significa far dipendere la propria salvezza dall’osservanza della legge (la legge mosaica nella sua totalità o anche la sola legge morale). Paolo giustamente respinge questa orgogliosa pretesa umana che svalorizza la grazia divina unica via di salvezza per l’uomo.

In Romani 7:9,10 Paolo sembra voler dire che la legge morale (v. 7 up) uccide l’uomo. Ma quel che egli afferma in realtà è che il peccato e non la legge uccide l’uomo (vv. 7 e 11), il peccato che la legge ha messo in evidenza senza potere eliminarlo e senza poter conferire all’uomo la forza di resistergli. La legge, santa, giusta, e buona in se stessa (v. 12), non può che sentenziare la condanna dell’uomo colpevole di averla violata; è in questo senso che il peccato cagiona la morte «mediante ciò che è buono» -cioè mediante la legge – (v. 13), allo stesso modo che una grave malattia intestinale provoca la morte del paziente quando questi ha ingerito del pane, che pure in se stesso è un alimento sano e nutriente.

Nella fase iniziale della conversione, la funzione della legge morale è di rivelare l’esistenza del peccato (Romani 3:20; 7:7). È questa presa di coscienza che fa sentire al peccatore il bisogno di un redentore. La legge in tal modo ha avuto la funzione di «pedagogo» per condurre il peccatore al Cristo che lo perdona e lo redime (Galati 3:24), ma non perché egli torni a vivere nel peccato (Giovanni 8:11 sp), ossia nella trasgressione della legge di Dio (1 Giovanni 3:4). Come ha scritto A. Vinet, «la legge conduce alla grazia e la grazia a sua volta riconduce alla legge» (Discours sur quelques sujets réligieux, p. 109).

Con la metafora del matrimonio in Romani 7:1-4, Paolo intende significare che i cristiani sono stati sciolti non dall’obbligo di osservare i comandamenti di Dio, ma da un rapporto di dipendenza dalla legge per la loro salvezza, e sono stati uniti spiritualmente a Gesù Cristo dal quale soltanto dipende la loro salvezza.

In Efesini 2:14,15 Paolo dichiara che Cristo ha riavvicinato Giudei e Gentili avendo abbattuto il muro che li separava, e questo egli ha fatto con l’abolire la causa dell’inimicizia, cioè «la legge fatta di comandamenti in forma di precetti». Questa legge che si ergeva come un muro fra Giudei e Gentili e che Gesù ha annullato non è il Decalogo (la legge morale con la sua portata universale unisce e non separa gli uomini di culture diverse!), ma il complesso delle migliaia di divieti e comandi risultante dalla interpretazione tradizionale giudaica della legge di Mosè (vedi E. PERETTO in Nuoviss. Vers. della Bibbia, «Lettere della Prigionia», p. 221).

In Colossesi 2:14 «l’atto accusatore scritto in precetti» che ci era contrario e che Cristo ha cancellato «inchiodandolo sulla croce» non è la legge dei 10 comandamenti e neanche la legge mosaica in generale. Per consenso unanime dei più validi esegeti moderni, l’atto accusatore (greco keirografon, «firma fatta di proprio pugno») è «un debito che tutta l’umanità ha contratto e sottoscritto davanti a Dio», è «il documento che conteneva la somma del nostro ‘Dare’», il «certificato di debito» che Dio ha inchiodato sulla croce (E. PERETTO, op. cit., p. 149). In definitiva questa espressione di Paolo è un modo immaginoso di dire che Dio ha cancellato i nostri peccati in virtù della morte in croce del suo Figliuolo. Quando Paolo parla della legge (greco nómos) in termini negativi, egli pensa alla legge cerimoniale ormai tramontata con l’avvento del tempo della grazia, oppure alla legge mosaica in generale o anche alla sola legge morale viste come norme esterne di condotta mediante la cui osservanza si acquista il favore divino e si guadagna la vita eterna. Quando invece l’apostolo ha in mente i comandamenti di Dio secondo la visione cristiana, egli si esprime in riferimento ad essi in termini positivi. Secondo lui, per esempio, la legge divina sarà la norma del giudizio per quanti la conobbero e non la osservarono (Romani 2:12), perché sono giustificati davanti a Dio non quelli che la ascoltano, ma quelli che la osservano (v. 13). Il messaggio cristiano della giustificazione per fede, si premura di sottolineare Paolo, non vanifica la legge di Dio, al contrario la rende stabile (Romani 3:31). Attenersi alla legge mosaica, rileva ancora l’apostolo, non è di alcun valore, e anche astenersene non è in sé motivo di merito; quel che vale è l’osservanza dei comandamenti di Dio (1 Corinzi 7:19). La legge di Dio infatti è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono (Romani 7:12); la legge del Signore è spirituale (Romani 7:14); il comandamento della legge è adempiuto nei cristiani che camminano secondo lo spirito e non secondo la carne (Romani 8:4). In Efesini 6:23 l’apostolo presenta in una luce chiaramente positiva il V comandamento del Decalogo e in Romani 13:8-10 compendia nel grande principio dell’amore (come prima di lui aveva fatto Gesù: Matteo 22:37-40) i comandamenti della legge morale. Sarebbe davvero aberrante pensare che Paolo dichiari sorpassata e decaduta la legge morale!

Giovanni e la legge. Il pensiero di Giovanni sul rapporto del cristiano con la legge di Dio non differisce nella sostanza dal pensiero di Paolo. Per Giovanni la conoscenza di Dio non può prescindere dall’osservanza dei suoi comandamenti (1 Giovanni 2:3,4) e la violazione della legge di Dio si identifica col peccato stesso (1 Giovanni 3:4). Secondo l’apostolo l’osservanza dei comandamenti di Dio è la manifestazione concreta dell’amore per Lui (1 Giovanni 5:3). Nell’Apocalisse il discepolo prediletto caratterizza i fedeli seguaci di Gesù dell’ultimo tempo come un residuo che «serba i comandamenti di Dio» (Apocalisse 12:17) e un poco più avanti (14:12) come «i santi che osservano i comandamenti di Dio».

Giacomo e la legge. «Nessuno scrittore del Nuovo Testamento – scrive J. Murray – è più geloso di Giacomo… riguardo ai frutti che accompagnano e giustificano la fede» (New Bible Dictionary, p. 723). Per Giacomo «la legge perfetta della libertà» è il criterio di accertamento dei frutti della fede (Giacomo 1:25), ed è anche, come per Paolo, la norma del giudizio (Giacomo 2:12). Allo stesso modo di Paolo e Giovanni, Giacomo ravvisa nell’amore il movente interiore dell’osservanza della «legge regale» (Giacomo 2:8). Questa legge deve essere dai cristiani osservata con perseveranza (Giacomo 1:25) e in tutte le sue prescrizioni, perché chi ne viola una soltanto è come se le avesse violate tutte (Giacomo 2:10,11).

Nota ancora J. Murray: «Il motivo di questo appello insistente alla legge di Dio quale criterio di giudizio della condotta del credente e del governo della sua vita, risiede nel rapporto della legge col carattere di Dio. Dio è santo, giusto e buono. Parimente “la legge è santa e il comandamento è santo, giusto e buono” (Romani VII, 12). La legge è dunque il riflesso delle perfezioni divine. In altri termini, essa è la copia della santità di Dio» (Op. cit., ivi).

Se da un lato gli scrittori ispirati del NT dichiarano decaduto il regime legalistico e invitano i cristiani a rimettersi a Cristo e alla sua grazia per la loro salvezza, dall’altro non mancano di sottolineare il valore perenne della legge morale e di raccomandarne ai credenti l’osservanza nello spirito dell’amore, non per avere titolo alla vita eterna, ma perché hanno ricevuto il dono della vita eterna (Romani 6:23 sp).

Bibliografia

Bibliografia

Badenas, R., Legge di libertà, Edizioni ADV, Impruneta Firenze, 2004.

Wade, L., I dieci comandamenti, Edizioni ADV, Impruneta Firenze, 2010.

AA.VV., Dieci parole per amare la vita, Edizioni ADV, Impruneta Firenze, 2001.

(Questo libro è esaurito – lo si può trovare in qualche libreria di chiesa o famiglia avventista)

La confessione di fede degli Avventisti del 7° Giorno, Le 28 verità bibliche fondamentali, Edizioni ADV, Impruneta Firenze, 2010, cap. 19.

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