Buone Notizie #05

SUPPLEMENTI PER LA LETTURA E L’APPROFONDIMENTO

GESÙ

di Antonio Caracciolo

(dal libro AA.VV., Dizionario di dottrine bibliche, Edizioni ADV, Falciani Impruneta FI, 1990)

Ebraico: Yehoshua’, «Yahweh salva». Il Figlio di Dio fatto uomo nato da Maria vergine per virtù dello Spirito Santo (Matteo 1:18; Luca 1:35).

1. Gesù nella storia

Gesù ha cambiato la storia, ma la storia quasi non si è accorta di lui. Solo rari e fuggevoli accenni alla sua persona si incontrano nelle fonti non cristiane dell’epoca. Di fonte romana si conoscono:

a. un accenno di Tacito (inizio del II sec.) in un passo ove lo storico romano spiega l’origine del nome « cristiani» dicendo che «Questo nome viene loro da Cristo il quale,              sotto il principato di Tiberio, il procuratore Ponzio Pilato aveva condannato al supplizio» (Annali, XV, 44);

b. la menzione, peraltro dubbia, del nome di Cristo in una notizia del biografo imperiale Svetonio (II sec.) secondo la quale «Claudio espulse da Roma i Giudei che, per                   istigazione di Chrestus, non cessano di provocare tumulti» (Vita dell’Imp. Claudio, XXV, 4);

c. la menzione incidentale del nome di Cristo in una lettera di Plinio il Giovane all’imperatore Traiano (anno 112) nella quale il governatore della Bitinia dice, alludendo ai            cristiani, che essi si radunano in un giorno stabilito «e cantano inni alla gloria di Cristo come in onore a un Dio» (Ep., X, 96). Di fonte giudaica sono noti:

  • un accenno occasionale a Gesù dello storico Giuseppe Flavio (fine del I sec.) in un passo in cui si ricordano il processo e la lapidazione di «Giacomo, il fratello di Gesù che viene detto Cristo» (Antichità Giud., XX, 9);
  • varie allusioni a Gesù nel Talmud, allusioni che uno studioso moderno ha così riassunto: «Yeshua» di Nazareth praticò la magia (i miracoli), sviò il popolo, si fece beffe dei detti dei saggi, raccolse intorno a sé cinque discepoli, fu impiccato (crocifisso) alla vigilia di Pasqua in quanto falso maestro e sobillatore del popolo.

La scarsezza di notizie su Gesù nelle fonti non cristiane dell’epoca si spiega col comprensibile disinteresse degli annalisti romani per i fatti interni di una piccola provincia all’estrema periferia dell’impero, e per quanto riguarda il mondo ebraico, con la riluttanza dei Giudei a tramandare ai posteri fosse pure il solo nome di Gesù. Ma, come osserva G. Bornkamm in Gesù di Nazareth, p. 23, è già notevole «che nei primi tempi non venne mai in mente ad alcuno, nemmeno al più accanito tra i nemici del cristianesimo, di mettere in dubbio l’esistenza storica di Gesù».

Il valore approssimato dei dati cronologici dei Vangeli non consente di stabilire una cronologia sicura della vita di Gesù. Le date della nascita e della morte e quindi la durata del ministero pubblico si possono determinare soltanto con approssimazione. Questo manuale, d’accordo con J. Finegan (Handbook of Biblical Chronology, pp. 294,295) considera come la data più probabile della nascita di Gesù l’anno 4 a.C., e gli anni 26 e 30 come le date più probabili dell’inizio e della fine del suo ministero pubblico.

Per quanto riguarda la data della crocifissione, gli accurati calcoli astronomici e cronologici di J.K. Fotheringham («The Evidente of Astronomy and Technical Chronology for the Date of the Crucifixion», in JTS, 35 (1934) citato da Finegan in op. cit.) hanno stabilito che il 14 di Nisan cadde di venerdì negli anni 30 e 33 dell’Era Volgare. Sulla base di questi dati, J. Finegan ha elaborato 3 cronologie possibili della vita di Gesù, che presenta a p. 301 dell’op. cit., propendendo per la prima delle tre che viene qui appresso riprodotta:

Primo schema cronologico della vita di Gesù

26 – Quindicesimo anno di Tiberio dall’inizio, al più presto nel mese di ottobre, del suo governo delle province in correggenza.
– Battesimo e inizio del ministero pubblico di Gesù in Novembre all’età di circa trent’anni.
– Trentesimo anno della nascita di Gesù in Dicembre.

27 – Prima Pasqua, quarantasei anni dopo l’inizio della ricostruzione del Tempio da parte di Erode.

28 – Seconda Pasqua.

29 – Terza Pasqua.

30 – Ultima Pasqua
– Crocifissione il 14 di Nisan = venerdì 7 Aprile

2. Gesù nei Vangeli

Le sole fonti che c’informano ampiamente su Gesù sono quelle cristiane: i Vangeli prima di tutto e poi gli altri scritti del Nuovo Testamento. Esula dai limiti e dalle finalità di questo manuale discutere sui metodi e le conclusioni della critica dei Vangeli, come pure sull’annoso dibattito circa la storicità di Gesù. Riguardo a quest’ultimo punto basterà ricordare che la ricerca storica su Gesù, iniziata nel sec. XVIII da S. Reimarus, dopo una prima fase caratterizzata da una interpretazione mitica della figura di Gesù (D.F. Strauss nel sec. XIX, A. Von Harnack all’inizio del sec. XX), e dopo una seconda fase contrassegnata da uno scetticismo radicale sulla possibilità di poter raggiungere il Cristo della storia (A. Schweitzer e R. Bultmann nella prima metà del sec. XX), dalla metà di questo secolo con E. Käsemann percorre vie nuove che fanno intravedere la possibilità reale di una identificazione del Cristo della fede col Cristo della storia. In questo manuale si danno per scontati la veridicità dei Vangeli e conseguentemente la storicità della figura di Gesù. Per gli evangelisti Gesù di Nazareth è il Messia annunciato dai profeti. Essi hanno ravvisato l’avverarsi della parola profetica in rapporto al Messia:

  • Nel modo della sua nascita: Matteo 1:22,23, cfr. con Isaia 7:14.
  • Nel luogo della sua nascita: Matteo 2:5,6, cfr. con Michea 5:1.
  • Nella persecuzione di Erode: Matteo 2:15,18, cfr. con Osea 11:1; Geremia 31:15.
  • Nel ministero preparatorio di Giovanni Battista: Matteo 3:3 ; Marco 1:2,3; Luca 3:4-6 (cfr. con Isaia 40:3); Matteo 11:10 (cfr. con Malachia 3:1).
  • Nell’esordio del ministero pubblico di Gesù: Matteo 4:13-16 (cfr. con Isaia 8:23); Luca 4:17-21 (cfr. con Isaia 61:1,2).
  • Nel soccorso da lui portato ai sofferenti: Matteo 8:17, cfr. con Isaia 53:4.
  • Nella discrezione da lui raccomandata riguardo ai suoi miracoli: Matteo 12:17-21, cfr. con Isaia 42:1-4.
  • Nella purificazione del Tempio ad opera sua: Marco 11:17 (cfr. con Isaia 56:7); Luca 19:16 e Giovanni 2:17 (cfr. con Salmo 69:9).
  • Nella indifferenza e incredulità del popolo verso il suo messaggio: Matteo 13:14,15; Marco 4:11,12; Luca 8:10 (cfr. con Isaia 6:9,10); Giovanni 12:38-41 (cfr. con Isaia 53:1).
  • Nel suo parlare in parabole: Matteo 13:34,35, cfr. con Salmo 78:2.
  • Nella sua pretesa di filiazione divina: Matteo 22:42-45; Marco 12:35- 37; Luca 20:41-44, cfr. con Salmo 110:1.
  • Nel suo ingresso trionfale in Gerusalemme: Matteo 21:4,5; Giovanni 12:13- 15, cfr. con Zaccaria 9:9.
  • Nell’abbandono da parte dei discepoli: Matteo 26:31; Marco 14:29, cfr. con Zaccaria 13:7.
  • Nel tradimento di Giuda: Matteo 27:7-9 (cfr. con Zaccaria 11:12,13); Giovanni 13:18 (cfr. con Salmo 41:9).
  • Nella condanna di Gesù come malfattore: Luca 22:37, cfr. con Isaia 53:12.
  • Nel suo grido sulla croce: Matteo 27:46, cfr. con Salmo 22:1.
  • Nel sorteggio della sua tunica: Giovanni 19:24, cfr. con Salmo 22:18.
  • Nella preservazione delle sue ossa: Giovanni 19:36, cfr. con Salmo 34:20.
  • Nella sua resurrezione: Giovanni 20:9; Atti 2:25-31, cfr. con Salmo 16:10.

Gli evangelisti, accreditando la voce popolare che acclama Gesù figlio di Davide (Matteo 15:22; 20:30; 21:9,15; Marco 8:31; 10:47,48; Luca 18:37), ne riconoscono implicitamente la regalità: Gesù è venuto per annunciare l’instaurazione del Regno (Matteo 4:17; 16:28; Marco 1:14,15; Luca 10:11; 12:34; 13:29; 17:20,21; 23:3; Giovanni 18:36; 17:20,21). Ma soprattutto in Gesù-Messia (Matteo 16:16; Marco 8:29) essi riconoscono l’Inviato di Dio per la salvezza del mondo (Matteo 20:28; Marco 10:45; Luca 19:10). Quanto alla persona di Gesù, gli autori dei vangeli col titolo di Figlio dell’uomo (Matteo 11:19; 16:13; 19:28; Marco 2:10,28; Luca 5:24; 18:18) ne sottolineano l’umanità, e con l’appellativo di Figlio di Dio (Matteo 11:27; 14:33; 16:16; Luca 1:35; 4:41; Giovanni 2:49; 3:18,19; 10:36) ne affermano la natura divina (Giovanni 5:18).

3. Umanità di Gesù

Le parole «carne» (Giovanni 1:14; 1 Timoteo 3:16 pp; Ebrei 2:14; 1 Giovanni 2:2,3; 2 Giovanni 7) e «uomo» (Atti 2:22,23) riferite a Gesù, sottolineano la realtà della sua natura umana. In vari altri modi il Nuovo Testamento , specialmente i Vangeli, mettono in luce l’umanità di Gesù Cristo. Già le notizie sulla sua nascita e la sua infanzia, pur nella loro laconicità, lo dipingono come un vero essere umano. Egli nacque alla maniera di tutti i bambini (Matteo 1:16,21; Luca 2:4- 7; Galati 4:4), e come ogni neonato ebreo fu circonciso l’ottavo giorno dalla nascita (Luca 2:21). Crebbe come crescono tutti i bambini, seppure dotato di un perfetto equilibrio psicofisico (Luca 2:40,52), e come ogni bambino bene allevato fu sottomesso ai genitori (Luca 2:51). Da adulto visse le esperienze comuni a tutti i mortali (Ebrei 2:17 pp), tranne l’esperienza del peccato (Ebrei 4:15 sp). Ebbe fame (Luca 4:2), ebbe sete (Giovanni 4:7), provò la stanchezza fisica (Matteo 8:24), pianse (Giovanni 11:35), conobbe la tentazione (Matteo 4:1; Ebrei 2:18; 4:15), la delusione (Luca 17:17), l’indignazione (Matteo 23:33; Giovanni 2:1315), l’angoscia (Matteo 26:37), sentì il bisogno del conforto umano (Matteo 26:38), soffrì gli spasimi della morte (Luca 23:46). L’esperienza del Getsemane (Matteo 26:39,42,44) fu quella che in modo più drammatico rese manifesta la sua umanità.

4. Divinità di Gesù

Gli scrittori del Nuovo Testamento , mentre riconoscono l’umanità di Gesù, ne attestano in modo inequivocabile la divinità. Poiché questo aspetto della natura di Cristo è tuttora controverso, ad esso sarà qui dedicato uno spazio più ampio. La divinità di Gesù nel Nuovo

Testamento è riconosciuta sia con l’attribuzione a lui di titoli divini, sia con la dedicazione a lui di omaggi divini, sia con dichiarazioni esplicite in tal senso.

   a. Titoli divini riferiti a Gesù. Figlio di Dio è uno dei titoli che il Nuovo Testamento applica a Gesù Cristo. Gesù fu chiamato «Figlio di Dio» prima ancora che nascesse (Luca 1:32,35), fu riconosciuto «Figlio di Dio» dal precursore (Giovanni 1:34) e fu da Dio stesso dichiarato Figlio suo (Matteo 3:17; 17:5; 2 Pietro 1:17). Molte volte Gesù riferì a se stesso questo titolo (col genitivo espresso o sottinteso) (Matteo 11:27; Luca 10:22; Giovanni 3:16, ecc), ed esso ricorse spesso sulle labbra e sotto la penna dei suoi primi testimoni (Matteo 16:16; Marco 1:1; Romani 1:4; ecc). Per i primi cristiani «Gesù Figlio di Dio» fu più che una formula dogmatica, fu un articolo di fede fondamentale (Giovanni 3:18; 9:35-38; 1 Giovanni 4:15; 5:5), fu il centro della loro predicazione (Atti 9:20) e la dichiarazione-base della confessione di fede (Giovanni 11:27; Atti 8:37 nella Versione Riveduta in nota).
Vero è che l’espressione «figlio» o «figli di Dio» nella Bibbia è applicata anche agli uomini. Israele è riconosciuto «figlio» di Dio (Esodo 4:22,23; Osea 11:1), e «figli di Dio» sono detti gli Israeliti (Deuteronomio 14:1; Osea 1:10) e in modo particolare i re davidici (2 Samuele 7:12-14; 1 Cronache 17:13; 22:10; Salmo 2:7; 89:20,26,27). Ma gli Israeliti e i re davidici sono divenuti figli di Dio in forza di una gratuita elezione e adozione da parte di Dio (Deuteronomio 7:6;14:1,2; Romani 9:4). I cristiani pure sono divenuti figli di Dio per via della elezione e adozione divine (Matteo 5:45; Galati 3:26; 4:5; 2 Tessalonicesi 2:13). Ma Gesù è Figlio di Dio in un senso totalmente diverso. Giovanni sottolinea questa diversità con l’usare il termine greco tékna («figli») quando parla degli uomini come «figli di Dio» (Giovanni 1:12; 11:52; 1 Giovanni 3:1,2,10; 5:2 nel greco) e col riserbare in modo esclusivo a Gesù il sinonimo uíos quando parla di Gesù come «Figlio di Dio» (Giovanni 1:18,34,49; 3:16,18; 5:19; 9:35; 17:1; 19:7; 1 Giovanni 1:7; 2:22,23; 3:23; 4:10,14; 5:5,9,10; Apocalisse 2:18; nel greco). Gesù stesso distinse il proprio rapporto di filialità con Dio da quello degli uomini con l’usare le espressioni distinte «Padre mio» (Matteo 7:21; 11:27; Luca 2:49; 10:22; 24:49; ecc) e «Padre vostro» (Matteo 5:16,45,48; 6:1,8; 18:14; Marco 1:25; ecc). In Giovanni 20:17 tale distinzione appare in una singola dichiarazione: «Padre mio e Padre vostro». Gesù non è, come noi, l’«estraneo» che è stato accolto nella famiglia di Dio a seguito di una benevola elezione e adozione. Gesù, che è uno col Padre (Giovanni 10:30), è l’Erede legittimo nella «casa» del Padre.
Giovanni sembra voler sottolineare ulteriormente l’unicità del rapporto di filiazione divina di Gesù quando lo designa come «l’Unigenito» (Giovanni 1:14,18; 3:16,18; 1 Giovanni 4:9). «Unigenito» (gr monoghenès) riferito a Gesù non significa «unico generato», ma «unico nel suo genere».
«Unigenito» con questo senso speciale nella Bibbia è usato anche in riferimento a una relazione umana di filialità. Per es. in Ebrei 11:17 Isacco è detto l’unigenito di Abramo, mentre si sa che Abramo generò altri figli oltre ad Isacco (Genesi 25;1,2). Isacco fu l’«unigenito» o l’«unico» di Abramo (Genesi 22:12,16) in senso morale, in quanto figlio della promessa e continuatore della stirpe di Abramo (Genesi 15:4; Ebrei 11:17,18). Gesù pure è l’Unigenito di Dio in senso morale. Egli è l’Unico del suo genere, è Figlio di Dio in modo unico e ineguagliabile (Matteo 11:27; Giovanni 1:18; 3:13). I Giudei capirono bene che egli si eguagliava a Dio dichiarandosi Figlio di Dio e per questo, non credendo alla sua divinità, tentarono di lapidarlo (Giovanni 5:17,18).
Il Nuovo Testamento dà ancora risalto alla posizione unica di Gesù nell’Universo designandolo come «il primogenito» (Colossesi 1:15; Ebrei 1:6). Applicato a Cristo «primogenito» (greco protótokos) non significa «il primo nato», ma «l’eminente», «l’eccelso». Il termine evoca le implicazioni socio-giuridiche e morali dell’antico privilegio della primogenitura. II primogenito nella società antica occupava una posizione preminente rispetto ai fratelli essendo l’erede unico delle prerogative e dei poteri paterni. «Primogenito» con un significato allegorico nell’Antico Testamento è applicato a Israele (Esodo 4:2; Geremia 31:9) e individualmente a Davide (Salmo 89:20,27). Nel Nuovo Testamento è riferito ai cristiani (Ebrei 11:23). Il valore morale di questo termine usato in senso traslato è evidente nel Salmo 89:27: «Il più eccelso». È in questo senso morale ed extratemporale che Gesù è chiamato «il Primogenito» nel Nuovo Testamento. Egli è il Primo fra tutti nell’universo, l’Eccelso, Colui che detiene un potere e un’autorità senza eguali.
In Colossesi 1:18 e Apocalisse 1:5 il Cristo risorto e glorificato riceve il titolo di «Primogenito dei morti» (Greco protótokos ek tòn nekròn). In questi passi il Risorto è presentato come il Prototipo e il Garante dei morti che torneranno in vita nell’ultimo giorno (1 Corinzi 15:20), poiché Egli ha il dominio sulla morte (Apocalisse 1:18).
In Apocalisse 3:14 il Cristo glorificato si presenta alla sua Chiesa come «il Principio della creazione di Dio» (greco è arkè tes ktíseos tou Theou). Non si insinua che Egli sia il primo essere creato, ma si afferma, in armonia con l’insegnamento unanime del Nuovo Testamento, che Egli è la Causa attiva della Creazione (Giovanni 1:2; 1 Corinzi 8:6; Colossesi 1:16; Ebrei 1:2).
Matteo 4:13-16 applica all’esordio del ministero pubblico di Gesù l’oracolo di Isaia 8:23-9:6. In quell’oracolo (9:5) è attribuito al futuro Davide, fra altri titoli, quello di «Dio potente» (ebraico ‘El gibbôr). «Dio potente» è una designazione di Dio nell’Antico Testamento (Deuteronomio 10:17; Isaia 10:21; Geremia 32:18).
Gli evangelisti applicano concordemente all’avvento dei tempi messianici i vaticini d’Isaia nei quali si annuncia che Yahweh in persona verrà a salvare il suo popolo (Isaia 40:3,9-11; cfr. con Matteo 3:3,4; Marco 1:1-3; Luca 3:3-6; Giovanni 1:23). In Giovanni 10:11-16 Gesù descrive la sua opera con la stessa immagine con cui Isaia aveva annunciato l’opera personale di Yahweh in favore del suo popolo (Isaia 40:10,11) e in Matteo 11:5 indica nelle opere di misericordia che Isaia attribuisce a Yahweh quando verrà per soccorrere il suo popolo (Isaia 35:4-6) il segno della sua messianità. Veramente Gesù fu nel tempo della sua umanità «Dio con noi» (Matteo 1:22,23).
Giovanni in Apocalisse 5:5 applica all’Agnello l’antico titolo messianico di «Rampollo di Davide» (Isaia 4:2; 11:1). Geremia designa due volte il futuro Davide prima con l’appellativo davidico-messianico (e quindi umano) di «Germoglio» (sinonimo di Rampollo), poi col titolo trascendente e divino di «Yahweh nostra giustizia» (Geremia 23:5,6; 33:15,16). Il Nuovo Testamento dichiara che Cristo è la nostra giustizia (1 Corinzi 1:30; 2 Corinzi 5:21; Filippesi 3:9).
«Il Santo» è un’altra designazione di Gesù nel Nuovo Testamento (Luca 1:35; Giovanni 6:68,69; Atti 3:14; 13:35; Apocalisse 3:7). Qui s’incontrano espressioni come «santi angeli» (Luca 9:26; 1Tessalonicesi 3:13), «santi profeti» (Atti 3:21; 2 Pietro 3:2), «santi apostoli» (Efesini 3:5), e «i santi» è un appellativo con cui spesso sono designati i credenti in Cristo (Atti 9:13; Romani 8:27; ecc). In Daniele espressioni come «dei santi», «dai santi», «un santo» (Daniele 4:13,17; 8:13) sono riferite agli angeli. Ma Gesù non è un santo fra tanti, come si può dire individualmente degli angeli e degli uomini pii. Gesù è il Santo per eccellenza e per definizione, in assoluto e in eterno.
«Il Santo» è uno dei titoli che gli scrittori ispirati dell’Antico Testamento riserbarono a Jahweh (Numeri 20:3; Salmo 22:3; Proverbi 9:10; Isaia 29:23; 40:25; 57:15; Osea 11:9; Abacuc 3:3).
Gesù in varie occasioni rivendicò per sé qualità e prerogative inaudite. Dichiarò di essere l’unico che avesse la conoscenza piena di Dio, come Dio aveva la conoscenza piena di lui (Matteo 11:27); fece dipendere la vita eterna degli uomini dal credere in lui (Giovanni 3:15,16; 6:40; 11:25); si autodefinì «il Pane della vita» (Giovanni 6:35,48), «la Luce del mondo» (Giovanni 8:12), «la Via, la Verità e la Vita» (Giovanni 14:16). Varie volte si identificò con Dio affermando che chi ha visto lui ha visto il Padre (Giovanni 14:9), che lui e il Padre sono uno (Giovanni 10:30), oppure riferendosi a se stesso col nome ineffabile di Yahweh, lo SONO (Giovanni 8:24,28; 13:19, B.G., cfr. con Esodo 3:14), suscitando la reazione irosa dei Giudei (Giovanni 8:58,59). Nel Getsemane le guardie caddero a terra nell’istante in cui egli disse: «IO SONO», gr ego eimí (Giovanni 18:5,6). Quando lo si accusò di bestemmia per essersi fatto uguale a Dio (Giovanni 10:33), non solo non respinse l’accusa, ma convalidò la sua pretesa citando il Salmo 82:6 ove dei giudici iniqui di Israele sono chiamati «dèi» (ebraico ‘elohîm), evidentemente intono ironico. ‘El ed ‘Elohîm nell’Antico Testamento sono anche usati come nomi comuni per indicare le divinità pagane (Esodo 20:3; Giudici 6:31; Salmo 44:20; Isaia 44:15; ecc, nell’ebraico). Ma quando Gesù si eguaglia a Dio dichiarandosi Figlio di Dio, si pone chiaramente al di sopra dei giudici iniqui d’Israele e delle fantomatiche divinità pagane.
Prima della resurrezione i discepoli di Gesù avevano compreso la sua filiazione divina in senso davidico-messianico, cioè umano. Essi infatti si aspettavano che egli ristabilisse l’antico dominio d’Israele (Matteo 20:20,21; Marco 10:35-37). Ma dopo la resurrezione lo riconobbero Figlio di Dio in senso sovrannaturale e metafisico, tant’è vero che non si rivolsero più a lui con l’appellativo di Maestro (aramaico rabbunì) come per l’addietro, ma lo chiamarono soltanto Signore (aramaico màr) (Luca 24:34; Giovanni 20:25; 21:7,15,16,17,20,21) e continuarono a riferirsi a lui con questo titolo anche dopo l’ascensione (Atti 2:36; 9:10,11,13,17; 15:11,27; 19:5,17; 20:21 ecc). Prima della resurrezione, «Signore» sulla bocca dei discepoli era soltanto un titolo riverenziale equivalente a «Maestro» (Giovanni 13:13; cfr. Marco 4:38 con Matteo 8:25 e Luca 9:33 con Matteo 17:4), ma dopo la resurrezione acquistò un significato trascendente (Giovanni 20:28). «Signore», gr kyrios, era il termine con cui la vers. greca dei LXX traduceva i nomi divini Yahweh e ‘Adonai, ed era anche l’appellativo col quale nei tempi del Nuovo Testamento si nominava Dio (Matteo 9:38; 11:25; Marco 5:19; Atti 3:20; 4:24; ecc).

   b. Onori divini tributati a Gesù. I Vangeli ricordano parecchie occasioni in cui uomini e donne si prostrarono ai piedi di Gesù: i malati guariti (Marco 5:33; Luca 17:16; Giovanni 9:38), persone in difficoltà invocanti un suo intervento (Matteo 8:2; 20:20; Marco 5:22; Luca 7:25), i suoi stessi discepoli (Matteo 14:33; 28:9,17; Luca 5:8; Giovanni 11:32). Il verbo greco usato in tutti questi passi è Nei tempi dell’Antico Testamento prostrarsi davanti a qualcuno era un gesto di omaggio e riverenza (Genesi 42:6; 1 Samuele 24:9; 25:24; 2 Samuele 1:2; 9:6; 1 Re 1:16; 1 Cronache 21:21; ecc). Ci si prostrava soprattutto davanti a Dio (Genesi 17:3; Esodo 33:10; Deuteronomio 26:10; 1 Samuele 1:28; 1 Re 1:47; Neemia 8:6; Salmo 72:11; Isaia 27:13; Geremia 7:2; ecc), e allora tale gesto assumeva il significato di un atto di adorazione. Perciò era proibito prostrarsi davanti alle immagini delle divinità pagane (Esodo 20:5; Deuteronomio 4:19; Isaia 2:8; Geremia 16:11; ecc). Dal tempo dell’Esilio in poi gli Ebrei aborrirono di rendere omaggio ai potenti prostrandosi ai loro piedi (Mardocheo a Susa rifiuta di prostrarsi davanti a Haman, Ester 3:1-6). Nel tempi del Nuovo Testamento era in uso presso gli Ebrei l’inchino riverenziale davanti alle persone di riguardo (Matteo 19:18), ma non più la prostrazione. Nei Vangeli uomini e donne si prostrano soltanto ai piedi di Gesù (l’uomo della parabola in Matteo 18:26 non fa testo).
In Atti 16:29 il carceriere di Filippi si getta ai piedi di Paolo e Sila, ma senza l’intenzione di venerarli, tant’è vero che il verbo usato da Luca in questo passo non è proskynein ma prosépese. Diversa era l’intenzione del centurione Cornelio quando si prostrò ai piedi di Pietro (Atti 10:25, qui il verbo greco è proskynein), donde la reazione energica dell’apostolo (v 26). Due volte Giovanni a Patmos si prostrò davanti all’Angelo rivelatore in segno di venerazione e in entrambi i casi l’Angelo rifiutò con fermezza l’omaggio del veggente (Apocalisse 19:10 e 22:9). In questi passi il verbo nell’originale è ancora proskynein.
A Satana che gli offre il dominio del mondo se si prostrerà ai suoi piedi e lo adorerà, Gesù dice con risolutezza: «Va’, Satana, poiché è scritto: ‘Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi il tuo culto’» (Matteo 4:9,10), letteralmente «prostrati davanti al Signore Dio tuo e lui solo adora». Gesù, non avendo mai rifiutato la prostrazione davanti alla sua persona, ha implicitamente attestato la sua divinità.
I primi cristiani riconobbero di fatto la divinità di Gesù Cristo glorificato invocandolo nella preghiera (Atti 7:59; 9:14,21; 22:16), giacché la preghiera è ancora un atto di culto che le Scritture riserbano a Dio soltanto (Daniele 5:7,10).

   c. Attestazioni esplicite della divinità di Gesù. La natura divina di Gesù è attestata chiaramente in vari punti del Nuovo Testamento. Qui saranno esaminati brevemente i passi:

  • Giovanni 20:28. Tommaso, quando si accerta della identità del Risorto, esclama: «Signore mio e Dio mio!» (greco O Kyrios mou kaì o Theos mou). Gesù non solo non rifiuta il riconoscimento di Tommaso, ma gli rimprovera di avere creduto solo dopo avere veduto (Giovanni 20:29).
  • Romani 9:5. In questo passo il Cristo nato dalla progenie di Abramo secondo la carne, è dichiarato «Dio sopra tutte le cose, benedetto in eterno». Come osserva opportunamente U. Vanni in Lettere ai Galati e ai Romani, pp. 166,167, l’argomento stilistico è decisivo per una retta esegesi di questo passo. «Paolo termina il suo discorso con una dossologia, e le dossologie in Paolo concludono ciò che è stato detto, non introducono elementi nuovi: ora qui ‘Dio’ non attribuito a Cristo sarebbe un elemento nuovo e staccato parzialmente dal contesto, che parla ripetutamente di Cristo, ma non di Dio».
  • Filippesi 2:6. Nel proporre ai Filippesi Gesù Cristo come esempio supremo di abnegazione, Paolo dice di lui che «essendo in forma di Dio, non riputò rapina l’essere uguale a Dio». 1) Nel versetto 7 Paolo dice che Gesù prese «forma di schiavo». Ora Cristo non poteva prendere forma di schiavo senza farsi veramente uomo; allo stesso modo non poteva avere «forma di Dio» senza essere veramente Dio. 2) Se la parola « forma» nella nostra lingua denota l’aspetto esteriore delle cose, il termine greco morfe nell’uso biblico indica l’essenza intima di ciò a cui è riferito. Paolo vuole dire in sostanza che il Cristo preesistente, avendo la natura divina, non stimò essere un bene irrinunciabile – come il rapinatore considera il suo bottino – il continuare ad esistere nello stato di parità con Dio, ma si spogliò di questa condizione gloriosa per assumere la condizione infinitamente più bassa di creatura umana.
  • Colossesi 1:15. Gesù è qui definito «l’immagine dell’invisibile Iddio». Nella concezione greco-ellenistica, l’immagine (greco eikón) e più che la riproduzione visiva di un oggetto, è la proiezione dell’essenza stessa di ciò che rappresenta. Paolo dice in sostanza che l’Iddio inaccessibile ai sensi umani si è reso manifesto in Cristo (cfr. con Giovanni 14:9). «Quale eikón del Dio invisibile, Cristo non è nel numero delle cose create, ma fa tutt’uno col Creatore» (E. Lohse, Le lettere ai Colossesi e a Filemone, p. 111).
  • Colossesi 2:9. In polemica con i falsi dottori di Colosse i quali insinuavano che il Cristo solo parzialmente partecipasse alla natura divina, Paolo afferma nel modo più categorico che in lui l’Essere divino (greco theótes) dimora in tutta la sua pienezza (pléròma) e in modo quasi percettibile ai sensi: « corporalmente» (greco somatikòs). Cfr. con 1 Giovanni 1:1.
  • Tito 2:13. Paolo conclude un brevissimo excursus dottrinale in questa lettera pastorale con un riferimento all’attesa della « apparizione della gloria del nostro grande Iddio e Salvatore Cristo Gesù». Due argomenti – l’uno di carattere grammaticale, l’altro teologico -mostrano che qui Paolo sta riferendo a Gesù Cristo l’attributo di «nostro grande Iddio». In primo luogo nel greco un solo articolo regge i due sostantivi «Dio» e «Salvatore Cristo Gesù» per cui essi sono inseparabili. Secondariamente né Paolo né gli altri scrittori del Nuovo Testamento alludono mai a una manifestazione visibile di Dio Padre alla fine dei tempi. Nel Nuovo Testamento si parla sempre e soltanto di una manifestazione (greco hepifaneía) di Gesù Cristo (2 Tessalonicesi 2:8; 1 Timoteo 6:14; 2 Timoteo 4:2,8). In Tito 2:13 la divinità di Cristo è attestata in modo inequivocabile.
  • Ebrei 1:3. In questo passo due immagini (la luce e l’impronta) mettono in risalto la natura divina di Cristo. Gesù vi è definito «lo splendore» della gloria di Dio e « l’impronta della sua essenza». Come le stelle, materialmente inaccessibili, sono percettibili grazie alla luce che da esse irradia, così la gloria dell’invisibile Iddio si rende «visibile» nel carattere del Figlio. La gloria (greco doxa) di Dio «è la somma di tutti i suoi attributi» (SDABC, vol. VII, p 396). La seconda immagine ribadisce e rafforza il concetto della prima. Come l’impronta è la copia precisa dello stampo che l’ha prodotta, così Gesù Cristo riproduce in modo perfetto l’essenza di Dio. Il greco ypostasis (tradotto «essenza»), corrispondente al latino sub-stantia, significa letteralmente « quel che sta sotto» e denota la vera essenza di una cosa. La lettera agli Ebrei, affermando che Cristo è l’impronta (greco charaktér) della ypostasis di Dio, ne riconosce l’essenza divina.
  • Ebrei 1:6. «E quando di nuovo introduce il Primogenito nel mondo dice: ‘Tutti gli angeli di Dio lo adorino’». L’autore della lettera, fondendo insieme due citazioni dell’ Antico Testamento (Deuteronomio 32:43 secondo i LXX e parte del Salmo 97:7), trasferisce a Gesù Cristo quel che l’Antico Testamento dice di Yahweh. «Dovunque l’Antico Testamento parla di una finale e decisiva venuta e manifestazione di Geova nella potenza e nella gloria del finale giudizio e della finale salvazione; dovunque parla di una rivelazione di Geova che sarà l’antitipo e il compimento di quella tipica mosaica; dovunque parla di Geova che si presenta visibilmente come re nel suo regno; – in quei luoghi Geova è sinonimo di Gesù Cristo, poiché Cristo è Geova manifestato in carne…» (F. Delitzch, cit. da E. Bosio «Epistola agli Ebrei» in Commentario esegetico-pratico del Nuovo Testamento, Claudiana, Torino, 1990, p. 6).
  • Ebrei 1:18. «(Il Padre) dice del Figliuolo: Il tuo trono o Dio è nei secoli dei secoli». In questo passo l’epistola agli Ebrei applica al Figlio di Dio quanto nel Salmo 45:6 è riferito a Dio stesso. «Questo passo si può considerare la più alta attestazione della posizione e dignità di Cristo. Non potrebbe esserci testimonianza della divinità di Cristo più alta di questa apostrofe che il Padre rivolge al Figlio. La natura divina di Cristo vi è affermata nella maniera più solenne e vi è affermata dal Padre stesso» (SDABC, vol. VII, pp. 399,400).

Nell’Apocalisse, il libro che compendia e conclude tutta la Bibbia, Gesù è la figura centrale. Egli ne è al tempo stesso il Rivelatore ed il Rivelato, il Soggetto e l’Oggetto. Il Cristo che si mostra a Giovanni in una visione piena di luce, somiglia tanto all’Antico dei giorni che Daniele descrive nella prima visione del suo libro (cfr. Apocalisse 1:14 con Daniele 7:9). Nell’Apocalisse si scopre un parallelismo stupefacente tra queste due figure eccelse della rivelazione biblica: gli stessi titoli, gli stessi omaggi sono rivolti all’Una e all’Altra:

a. Dio Padre e Gesù Cristo si autodefiniscono «l’alfa e l’omega», «il primo e l’ultimo», «il principio e la fine»: cfr. Apocalisse 1:8 pp e 21:6 con 1:18 e 22:13,16.

b. Dio Padre e Gesù Cristo sono definiti «Colui che vive nei secoli dei secoli»: cfr. Apocalisse 4:10 con 1:18 sp.

c. Sette identici attributi divini sono riconosciuti a Dio e all’Agnello: cfr. Apocalisse 7:11,12 con 5:11,12.

d. I 24 anziani adorano Dio e l’Agnello: cfr. Apocalisse 4:10 con 5:8.

e. Tutte le creature dell’universo glorificano Dio e l’Agnello e i 24 anziani li adorano: Apocalisse 5:13,14.

Tutta la Scrittura, l’Antico Testamento nei suoi vaticini, il Nuovo con affermazioni esplicite, attesta unanimemente che Gesù, il Figlio di Dio, è partecipe della natura e degli attributi del Padre.

Abbreviazioni

SDABC = SEVENTH– DAY ADVENTIST BIBLE COMMENTARY

Bibliografia

J.T. Baldwin, J.L. Gibson, J.D. Thomas, Oltre ogni immaginazione, Edizioni Adv, Firenze, 2015.

Roberto Badenas, Incontri con Cristo, Edizioni Adv, Impruneta Firenze, varie edizioni. (Questo libro potrebbe essere esaurito o in ristampa – lo si può trovare in qualche libreria di chiesa o famiglia avventista)

La confessione di fede degli Avventisti del 7° Giorno, Le 28 verità bibliche fondamentali, Edizioni Adv, Impruneta Firenze, 2010, cap. 4.

Per acquistare questi volumi puoi visitare il sito: www.edizioniadvshop.it o richiederli al responsabile della libreria di chiesa della comunità avventista che frequenti.

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