I cinque “solo” della Riforma

SUPPLEMENTI PER LA LETTURA E L’APPROFONDIMENTO

  • Che cos’è la Riforma?

Una decisione! Proprio così l’ha chiamata Karl Barth, il più grande teologo evangelico del secolo scorso. La decisione cioè di lasciarsi guidare dalla Parola di Dio, e di cercare e trovare, solo in essa, il fondamento della fede e della chiesa. Poi è diventata anche molto altro. Il teologo riformato Emile Leonard l’ha definita “la nascita di una civiltà”, nel senso che da essa è scaturita una nuova cultura, una nuova etica e forse anche una nuova classe sociale: la classe borghese.

  • Perché il 2017 si festeggiano i 500 anni della Riforma protestante? Che cosa accadde nel 1517? Ci sono altre date importanti che vale la pena ricordare?

Il 31 ottobre 1517 Martin Lutero affisse alla porta del castello di Wittenberg le sue 95 tesi per proporne la discussione agli altri professori. Quel gesto, che forse ha in sé persino qualche elemento leggendario, assurse in seguito, ben aldilà delle intenzioni di Lutero, a momento sorgivo della Riforma protestante.

Il 1521 è un’altra data fondamentale, ma stavolta meno casuale. A gennaio di quello stesso anno Lutero aveva infatti ricevuto la bolla di scomunica – Decet Romanum Pontificem – da papa Leone X, dunque ogni possibilità di riconciliazione era ormai quasi del tutto compromessa. Tuttavia in quello stesso mese era stata inaugurata l’assemblea di Worms presso la quale Lutero era stato convocato, per dirimere, su un piano più politico, la questione religiosa. L’imperatore era infatti pur sempre preoccupatissimo per il venir meno dell’unità religiosa nei territori dell’impero, e anche Federico il Savio, principe elettore di Sassonia, desiderava capire quanto potessero affermarsi le rivendicazioni del suo monaco Lutero. L’intenzione imperiale era quella di ottenere una repentina ritrattazione da parte del monaco di Wittenberg. Martin Lutero, dopo alcune esitazioni iniziali e una certa timidezza, che gli fecero ottenere una sospensione della sessione di ventiquattro ore, resistette tenacemente all’ordine di ritrattare la sua dottrina e confermò quanto aveva detto e scritto in molti opuscoli, rivendicando la sua obbedienza esclusiva alla Bibbia. La sua celebre risposta passò poi alla storia come il vero grido di battaglia della Riforma: «Se non sarò confutato da testimonianze della Scrittura e da convincenti argomenti razionali – dato che non credo né al papa né ai concili soltanto, perché è chiaro che si sono più volte sbagliati e contraddetti ­– io sono vinto dalle parole della Scrittura […] E fintantoché la mia coscienza è prigioniera delle parole di Dio, non posso né voglio ritrattare nulla, perché non è sicuro ed è rischioso per la salvezza fare qualcosa contro la propria coscienza. Dio mi aiuti. Amen».[1]

  • Cosa rappresentarono le 95 tesi? Su quali temi si concentrarono?

Nelle intenzioni di Lutero le tesi non furono, com’è noto da sempre, un guanto di sfida lanciato verso la chiesa medievale, ma più modestamente un elenco di punti da discutere tra professori di teologia a Wittenberg. Benché numerose – 95 appunto – le tesi intendevano chiarire, in ultima analisi, due grandi questioni (dalle quali ne dipendevano poi molte altre), ovvero: cosa dovesse intendersi per “penitenza” e quali fossero davanti a Dio le reali prerogative della chiesa e del papa. Va da sé che le prerogative che il papa esercitava erano per Lutero decisamente eccessive. Solo in seguito alle resistenze che attivarono, specie da parte dei domenicani, e alla eco che ebbero fino a Roma, divennero il manifesto della Riforma.

Tratto dal libro di D. Bognandi, G. Marrazzo, D. Romano, T. Rimoldi, S. Scuccimarri, 95 domande sulla Riforma protestante, 1517-2017 Cinque secoli di storia evangelica, Segni dei Tempi, anno LXIV, n. 1/2017, Ed. ADV, Firenze, 2017.

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[1] P. Ricca (a cura di), Lutero. L’autorità secolare fino a che punto le si debba ubbidienza, Torino, Claudiana, pp. 8-9.

  • Che cosa significa e che cosa implica il principio evangelico “solo Cristo”?

Vuol dire che soltanto Cristo ci salva e solo in lui va riposta la nostra fede (Atti 4:12). In Gesù soltanto è possibile fare esperienza di Dio. Chi si affida ad altre figure di intermediazione tradisce questo principio.

  • Che cosa significa e che cosa implica il principio evangelico “sola grazia”?

Il “sola grazia” è un severo ammonimento verso ogni dottrina o atteggiamento che presumano di poter acquistare con le proprie opere umane il diritto ad essere salvati. La grazia di Cristo ci raggiunge dall’esterno e ci viene annunciata come lieta e inaudita notizia di salvezza immeritata (Romani 3:24; Efesini 2:8). Ogni autoassoluzione umana e ogni religione della “prestazione” sono con ciò squalificate. “Sola grazia” vuol dunque dire che la nostra salvezza non dipende da ciò che noi facciamo, ma da ciò che Dio opera.

  • Che cosa significa e che cosa implica il principio evangelico “sola fede”?

La fede è l’atteggiamento che Dio si aspetta dal peccatore cui è stata annunciata la salvezza. Ed è anche il dono che Dio ci fa. La fede – diceva Martin Lutero – consiste nel dare ragione a Dio!

Con le parole del teologo Fulvio Ferrario, concludiamo che «la fede è il luogo esistenziale in cui la grazia di Dio viene accolta».

  • Che cosa significa e che cosa implica il principio evangelico “sola Scrittura”?

Ilsola Scrittura” implica che solo nella Bibbia ci è dato un “luogo” per incontrare Dio, attraverso la mediazione dello Spirito Santo. Solo la Bibbia contiene la chiara testimonianza dell’azione divina nella storia e solo in essa si può e si deve trovare rifugio e consolazione.

Tratto dal libro di D. Bognandi, G. Marrazzo, D. Romano, T. Rimoldi, S. Scuccimarri, 95 domande sulla Riforma protestante, 1517-2017 Cinque secoli di storia evangelica, Segni dei Tempi, anno LXIV, n. 1/2017, Ed. ADV, Firenze, 2017.

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[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Chiese_protestanti_in_Italia visto il 31 gennaio 2017.

  • Chi fu Martin Lutero?

Un monaco agostiniano che a un certo punto fu liberato dalla grazia di Dio e fatto felicemente prigioniero della sua Parola.

  • Aveva un obiettivo chiaro?

Salvare le anime e riconoscere solo a Dio la gloria. Da questo punto di vista erra chi immagina un Lutero ambizioso e ansioso di riformare la chiesa. Egli non disdegnava di paragonarsi ad una specie di “Giovanni il battista” chiamato a preparare la strada della Riforma, non a compierla.

  • Chi fu Giovanni Calvino?

Il grande riformatore di Ginevra, dotto giurista, colto umanista e teologo acuminato. Aveva imparato molte cose sulla conduzione della chiesa dalla sua precedente collaborazione con un altro riformatore, Martin Bucero, il riformatore di Strasburgo. Calvino fu anche un uomo molto umile, non volle nemmeno che la sua tomba recasse il suo nome. La sua opera magna, L’Istituzione della religione cristiana, è ancora oggi un’opera da leggere e meditare.

Tratto dal libro di D. Bognandi, G. Marrazzo, D. Romano, T. Rimoldi, S. Scuccimarri, 95 domande sulla Riforma protestante, 1517-2017 Cinque secoli di storia evangelica, Segni dei Tempi, anno LXIV, n. 1/2017, Ed. ADV, Firenze, 2017.

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  • Si può dire dunque che dalla Riforma protestante nacquero diverse confessioni cristiane?

La Riforma protestante si sviluppò come un fenomeno plurale. Non fu un movimento omogeneo e coeso, anzi, non mancarono perfino le reciproche scomuniche. Da un comune fondamento, la Scrittura, nacquero dunque diverse confessioni. I luterani si riconobbero nella confessione di Augusta del 1530. I riformati, cioè gli eredi di Calvino e di Zwingli, ne produssero diverse su base regionale.

  • Quali sono le grandi correnti protestanti oggi negli USA?

Il protestantesimo americano è stato animato da ondate di risveglio spirituale molto sentito, come i vari revivals. Essi promuovevano una fede profondamente personale, in grado di rigenerare il credente e di aprire davanti a lui nuovi orizzonti di testimonianza, in contrapposizione a una religiosità sclerotizzata e formale.

Tra i revivals più corposi segnaliamo: pietismo e quaccheri (XVII secolo); metodismo, Chiesa dei fratelli e “Grande Risveglio” (XVIII secolo); battismo, metodismo, movimento di santità, neo-pietismo, avventismo (XIX secolo); evangelicalismo, pentecostalismo e movimento carismatico (XX secolo).

Secondo i dati del Pew Research Center relativi al 2014, i cristiani negli USA, oggi, sono il 70,7%, suddivisi in protestanti (46,6%, di cui il 25,4% evangelicali, il 14,7 protestanti storici, il 6,5 chiese nere), cattolici (20,8%), mormoni (1,6%), testimoni di Geova (0,8%), ortodossi (0,5%), altri cristiani (0,4%). Le persone che dichiarano di non essere affiliate a nessuna religione rappresentano il 22,8%, i seguaci di altre fedi non cristiane (ebrei, musulmani, buddisti, induisti) sono il 5,9%.

Fra i protestanti storici prevalgono quelli di tradizione calvinista-riformata (presbiteriani, congregazionalisti, battisti) e gli episcopali che derivano dall’anglicanesimo. Le denominazioni più diffuse sono: battista (17,2%), metodista (7,2%), luterana (4,9%), presbiteriana (2,8%) e quella episcopale (1,8%). Vi è, inoltre, un’enorme varietà di chiese evangelicali. La singola chiesa più diffusa è quella cattolica, rafforzata dall’immigrazione ispanica degli ultimi 30 anni.

Negli USA, grande successo hanno le TV and Web Churches (chiese di TV e Web), guidate dai cosiddetti “telepredicatori”, spesso schierate con la “Destra Cristiana”, che hanno tanto influenzato le vittorie elettorali di Ronald Reagan, di George W. Bush e che ora sostengono Donald Trump. Negli USA sono nate e cresciute le cosiddette mega-churches, grandissime chiese evangeliche non legate a denominazioni ufficiali.

  • Quali sono oggi le denominazioni evangeliche presenti in Italia?[1]

Le chiese evangeliche presenti in Italia contano circa 500.000 membri, forse di più, di cui la grande maggioranza pentecostali. L’incertezza del numero è data dal fatto che, essendo il mondo evangelico (e soprattutto pentecostale) molto frammentato, è difficile fare un “bilancio consolidato” dei membri. Altro fattore di incertezza è l’immigrazione, che non sempre è facile registrare con esattezza nelle sue cifre. Infine, i sistemi statistici di ogni chiesa non sono uniformi, come non è uguale la definizione di “membro”.

Non è possibile elencare tutte le denominazioni esistenti sul territorio italiano, anche perché molte chiese sono indipendenti (non affiliate cioè a nessuna denominazione). Possiamo dare uno sguardo a quelle maggiormente rappresentate o rappresentative, e ai vari raggruppamenti che esistono tra varie chiese evangeliche.

Partiamo dalla FCEI (Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia) che comprende: valdesi, battisti, metodisti, luterani, riformati svizzeri, scozzesi, apostolici, altre chiese libere e associate. La Federazione delle chiese pentecostali e la Chiesa avventista vi aderiscono come membri osservatori. Segnaliamo anche la Chiesa evangelica dei fratelli che, pur non aderendo alla FCEI, rappresenta un ramo importante del protestantesimo italiano.

Poi c’è il vastissimo mondo delle chiese evangelicali, pentecostali e neopentecostali, che numericamente sono la netta maggioranza. Tra di esse ricordiamo: le ADI (Assemblee di Dio in Italia), la MIE (Missione Italiana per l’Evangelo, si tratta di un’associazione di varie chiese pentecostali), la Chiesa di Cristo, le chiese unitariane e altri raggruppamenti pentecostali.

Ricordiamo che la Chiesa dei santi degli ultimi giorni (mormoni) e i Testimoni di Geova non sono compresi nel novero delle chiese evangeliche (perché non si riconoscono in alcuni principi basilari del protestantesimo).

Tratto dal libro di D. Bognandi, G. Marrazzo, D. Romano, T. Rimoldi, S. Scuccimarri, 95 domande sulla Riforma protestante, 1517-2017 Cinque secoli di storia evangelica, Segni dei Tempi, anno LXIV, n. 1/2017, Ed. ADV, Firenze, 2017.

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[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Chiese_protestanti_in_Italia visto il 31 gennaio 2017.

  • Come reagì il cattolicesimo romano alle tesi protestanti?[1]

La reazione di Roma alle questioni poste da Lutero nelle sue 95 tesi non fur affatto quella che il riformatore si aspettava. Lutero era convinto che Tetzel (il priore e inquisitore domenicano incaricato dall’arcivescovo di Magonza di promuovere la vendita delle indulgenze nelle sue diocesi) agisse senza l’autorizzazione di Roma, pertanto si aspettava che la curia romana in qualche modo gli fosse grata per aver segnalato questo abuso compiuto a nome del pontefice. Per quanto riguarda invece le riflessioni che da tempo aveva fatto sulla salvezza per grazia mediante la fede, e le altre dispute teologiche, pensava che facessero parte della normale ricerca e dialettica universitaria: mai avrebbe immaginato che la Chiesa avesse potuto vedere in esse una minaccia per se stessa.

Ma le cose non andarono come Lutero credeva. Papa Leone X, almeno inizialmente, non si interessò neppure di esaminare il contenuto delle tesi di Lutero: per lui il problema era che queste, in qualche modo, erano state recepite come una rivolta contro il papa e la sua iniziativa di pagare i lavori della basilica di San Pietro con la vendita delle indulgenze. Pretese pertanto che Lutero facesse prova di sottomissione alla sua autorità ritrattando le tesi. Questo, come sappiamo, non avvenne, perché Lutero chiedeva che lo si convincesse di errore riguardo al contenuto delle tesi, e alla luce delle Scritture, e non era disposto a vendere la sua coscienza per esigenze di potere e autorità.

Il papa allora, dopo una serie di calcoli anche politici, emise la bolla di scomunica Exsurge Domine (15 giugno 1520) e ottenne che Lutero, nel 1521, fosse condannato anche dalla Dieta imperiale di Worms (un consiglio cui partecipavano l’imperatore e i principi tedeschi). Lutero sarebbe stato ucciso come eretico, se il principe Federico di Sassonia non lo avesse preso sotto la sua protezione e se vari principati tedeschi non avessero aderito alla Riforma.

  • E cosa accadde in Italia?[2]

In Italia fin dal XII secolo si era insediato il movimento dei “poveri di Lione e Lombardia”, i valdesi, che dopo una prima una grande espansione rimase confinato nelle valli alpine del Chisone, della Germanasca e del Pellice (le Valli valdesi) a causa delle persecuzioni, pur mantenendo contatti con gli aderenti “clandestini” dispersi nel resto della penisola e con gruppi svizzeri e tedeschi. I valdesi, in seguito, aderirono al movimento degli hussiti e, nel 1536, alla Riforma svizzera. Le persecuzioni e l’esilio segnarono la loro storia fino al 1848, quando Carlo Alberto di Savoia concesse loro la tolleranza attraverso le “patenti”.

Le idee della Riforma circolarono negli ambienti alti (come i cardinali Morone e Seripando, il generale dei cappuccini Bernardino Ochino, l’umanista Marcantonio Flaminio, e Pietro Martire Vermigli che ebbe una risonanza internazionale), ma anche tra la gente di basso ceto. C’erano poi molti “nicodemiti”, termine spregiativo che Calvino per primo usò per riferirsi ai protestanti che non confessavano la loro fede pubblicamente per sfuggire all’Inquisizione. Le persecuzioni non permisero lo sviluppo del protestantesimo in Italia, ma neppure riuscirono a cancellarlo.

Una nuova speranza di “riformare” l’Italia si ebbe durante il Risorgimento nel XIX secolo: i vari movimenti di risveglio in Europa e Stati Uniti erano convinti che il papato stesse per finire e che il millennio, ormai alle porte, sarebbe iniziato con un’Italia protestante liberata dal potere papale. Per questo sia i protestanti italiani che stranieri appoggiarono la causa dell’indipendenza e unità d’Italia. Dopo il 1861, in effetti, il protestantesimo italiano registrò una crescita numerica ma, contrariamente alle attese, rimase una realtà quantitativamente marginale.

Particolarmente legati alla storia del Risorgimento italiano, oltre ai valdesi, sono il conte Piero Guicciardini e il patriota e predicatore Teodorico Pietrocola Rossetti, fondatori della Chiesa dei Fratelli.

Tratto dal libro di D. Bognandi, G. Marrazzo, D. Romano, T. Rimoldi, S. Scuccimarri, 95 domande sulla Riforma protestante, 1517-2017 Cinque secoli di storia evangelica, Segni dei Tempi, anno LXIV, n. 1/2017, Ed. ADV, Firenze, 2017.

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[1] Giorgio Tourn, I protestanti – una rivoluzione, vol. 1: Dalle origini a Calvino, Claudiana, Torino, 1993, pp. 39-66.

[2] Domenico Maselli, Breve storia dell’altra chiesa in Italia, Edizioni Centro Biblico, Napoli, 1972, pp. 14-34.

  • Il protestantesimo ha insegnato qualcosa in rapporto all’etica pubblica?

Lutero squalifica le opere come mezzo di salvezza, ma le ritiene fondamentali e indispensabili solo se frutto della fede. Concetto evidenziato nel Catechismo di Heidelberg (1563) in cui si afferma che solo per riconoscenza il credente fa opere veramente buone. L’etica della gratitudine è quella senza interesse né calcoli, espressione di una vita dedicata completamente a Dio non in forma ascetica, ma nel servizio.

La vita del cristiano non si esaurisce nel suo rapporto con Dio, essa si articola anche nella vita sociale, dove sa distinguere ciò che è utile da ciò che è inutile, il bene dal male. In questo l’aiuta la coscienza, dal latino cum scientia dove il termine scientia (che vuol dire consapevolezza, sapere, conoscere), è sapientemente preceduto dal cum, con. Secondo Gerhard Ebeling, dovremmo concepire la coscienza «come il punto in cui l’uomo, il mondo e Dio si incontrano, rendendosi presenti l’uno all’altro». È il momento dell’incontro che rende possibile una relazione, illuminata dalla Parola, che crea legami fondati sul riconoscimento reciproco.

La coscienza è insieme voce e ascolto, una “voce terribile” interna che, come afferma Kant, risuona all’interno di ciascuno di noi per fornirci una guida sicura se si confronta con la Scrittura, ma è anche un “giudice interno” che valuta perfino le motivazioni del nostro operato.

La conseguenza di un tale approccio si sviluppa nell’impegno teso a migliorare la società. I protestanti sono stati tra i primi a fondare scuole per alfabetizzare la popolazione, a reclamare l’abolizione della schiavitù, a fondare istituzioni assistenziali destinate a chiunque, a interessarsi della condizione femminile, a impegnarsi in maniera innovativa per la giustizia e la libertà e ad abbattere le barriere che impediscono lo sviluppo economico della società. Anche per questo la Riforma è stata definita da tanti “patrimonio dell’umanità”.

  • Cosa c’entra il lavoro con la Riforma protestante?

Al tempo della Riforma, come era avvenuto in precedenza, il problema della povertà era affrontato dalla chiesa dominante in chiave essenzialmente religiosa.

Il prof. Emanuele Fiume afferma: «Il povero, nel tardo Medioevo era figura e ambasciatore di Cristo, la sua presenza era un richiamo evangelico necessario al ricco per riportarlo a Cristo; la mano stesa a chiedere l’elemosina permetteva al mercante, che svolgeva un’attività considerata ai margini religiosi e morali, di liberarsi simbolicamente del suo guadagno peccaminoso… Il riformatore sassone (Lutero) aveva negato che l’elemosina fosse un’opera buona, ed espresse il parere che i mendicanti dovessero lavorare e, se non erano in grado di farlo, dovessero essere mantenuti a spese della città… Avveniva così un radicale rovesciamento della concezione teologica della povertà. Essa non era più considerata quale servizio alla salvezza dei ricchi o delle istituzioni ecclesiastiche stesse, attraverso l’elemosina e le buone opere, ma era assorbita quale problema a carico della società tutta. Lo scopo dell’intervento sociale non era più il mantenimento della povertà quale necessario segno di presenza del Christus pauper, ma l’eliminazione della stessa» (AAVV, Sentieri di libertà. Contributi protestanti in ambito sociale, Claudiana, 2010, p. 114).

Con la promessa di un posto privilegiato nell’aldilà, nel XVI secolo come nei secoli precedenti, si tenevano calmi i disagiati, ma si mantenevano le sperequazioni. I riformatori superarono l’ascetismo medievale anche da questo punto di vista. Secondo loro, i poveri avevano l’obbligo morale di cercarsi un lavoro come forma di riscatto personale per acquisire autostima e dignità sociale. Parole e concetti focalizzati dalla Riforma come coscienza, responsabilità e libertà, contribuirono a rivalutare la capacità umana di reagire ai disagi per affermare la dignità dell’individuo e la sua possibilità di emanciparsi.

  • Essere salvati per grazia mediante la fede e senza il contributo delle opere, non rende forse il messaggio evangelico centrato più sulla teoria che sulla pratica?

Dietrich Bonhoeffer mise in guardia i credenti dall’accettare una “grazia a buon mercato” e affermò: «Noi oggi lottiamo per la grazia a caro prezzo. Grazia a buon prezzo è grazia considerata materiale di scarto, perdono sprecato, consolazione sprecata, sacramento sprecato; grazia considerata magazzino inesauribile della Chiesa, da cui si dispensano i beni a piene mani, a cuor leggero, senza limiti; grazia senza prezzo, senza spese. L’essenza della grazia, così si dice, è appunto questo, che il conto è stato pagato in anticipo, per tutti i tempi. E così, se il conto è stato saldato, si può avere tutto gratis… La grazia a buon prezzo è il nemico mortale della nostra Chiesa… è rinnegamento della Parola vivente di Dio, rinnegamento dell’incarnazione della Parola di Dio… La grazia di Dio richiede uomini che agiscono e l’azione diventa la vera umiltà, la vera fede, la vera confessione della grazia di colui che ci ha chiamati» (Sequela).

Una volta che la grazia ci libera dal potere del male e da noi stessi, ci fa entrare nel mondo di Dio. Solo allora il credente può «pensare alle cose del cielo e non a quelle di questo mondo» (Colossesi 3:2). La sua libertà gli permette di compiere opere buone non per conseguire la salvezza, ma proprio perché è già salvo in Cristo. D’altra parte anche le “buone opere” che egli compie unito a Cristo «sono state preparate fin da principio» (Efesini 2:10). Nessuno quindi è salvato perché osserva i comandamenti, frequenta la comunità, offre generosamente il suo denaro, aiuta i poveri, ma dal momento che la verità di Cristo lo ha reso veramente libero (Giovanni 8:32) ed è entrato a far parte del “regno di Dio”, sente che è un privilegio e un onore osservare la legge, dare generose offerte, amare gli stranieri, lottare per un mondo più giusto. Esattamente come hanno agito alcuni dei tantissimi personaggi evangelici le cui vite, molto attive, sono state tratteggiate nei paragrafi precedenti. Certamente non sono stati teorici della fede!

Tratto dal libro di D. Bognandi, G. Marrazzo, D. Romano, T. Rimoldi, S. Scuccimarri, 95 domande sulla Riforma protestante, 1517-2017 Cinque secoli di storia evangelica, Segni dei Tempi, anno LXIV, n. 1/2017, Ed. ADV, Firenze, 2017.

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  • L’attesa del prossimo ritorno di Gesù ha delle corrispondenze nel clima della Riforma?[1]

Lutero, nei suoi scritti, manifesta a tratti un carattere apocalittico, soprattutto nel momento in cui, riprendendo Gioacchino da Fiore e i pre-riformatori, identifica il papato con l’Anticristo. Tuttavia, pur mantenendo la fede nella beata speranza della risurrezione dei morti e della vita eterna,[2] che evidentemente sarebbero avvenuti nell’ “ultimo giorno”, quello del ritorno di Cristo e del giudizio), come tutta la tradizione precedente, anche Lutero tende a collocare quel giorno in un tempo lontano, dopo il millennio. Il regno divino di pace e giustizia, quindi, non sarebbe stato Cristo a stabilirli in questo mondo, ma la chiesa durante il millennio e in attesa del suo ritorno. Così, probabilmente, la pensava anche Calvino, che nella Ginevra riformata vedeva in qualche modo il compimento della Gerusalemme celeste.

È invece a un anabattista, Hans Hut, che dobbiamo il ritorno a una visione premillenarista della parusia (cioè a un prossimo ritorno di Cristo, che avrebbe preceduto e inaugurato il millennio). Addirittura si spinge fino a stabilire una data, il 1528. In un sinodo anabattista, Hut ebbe modo di presentare le sue posizioni: l’idea di stabilire date venne respinta, ma fu accolto l’insegnamento sul ritorno prossimo di Gesù.

Sarà il restaurazionismo di fine 1700 e inizio 1800, che abbiamo già detto essere eredità anabattista, assieme a una grave crisi economica negli anni ‘30 del 1800 – che farà scricchiolare la certezza che con la nascita degli Stati Uniti fosse ormai vicino (se non già iniziato) il millennio – a creare le condizioni giuste per il successo della predicazione millerita sull’imminente ritorno di Cristo, che avrà la potenza, solo lui, di distruggere il male e inaugurare il millennio.

  • Perché le Bibbie cattoliche hanno libri “deuterocanonici” e quelle protestanti no? Quale valore attribuiscono le chiese evangeliche a tali libri? Quale riconoscimento danno loro le chiese ortodosse?

L’edizione cattolica della Bibbia contiene 46 libri dell’Antico Testamento, contro i 39 delle Bibbie protestanti. Questo perché la prima aggiunge anche i libri deuterocanonici, che i protestanti chiamano “apocrifi” o “intertestamentari”. Anche le chiese ortodosse li includono nelle loro Bibbie, pur con qualche riserva da parte di alcune frange della Chiesa ortodossa russa.

Sono libri scritti prevalentemente in greco nei tre secoli che separano l’Antico dal Nuovo Testamento: Tobia, Giuditta, 1 e 2 Maccabei, Sapienza, Ecclesiastico, Baruc, Lettera di Geremia e alcune aggiunte in greco ai libri di Ester e Daniele. La fede d’Israele provava rispetto per questi scritti, ma non li integrò mai nella raccolta dei libri canonici della Scrittura ebraica.

Sono invece presenti nel “canone alessandrino” degli ebrei della diaspora, i quali in occasione della traduzione in greco dell’Antico Testamento (III-II secoli a.C.), la famosa versione dei Settanta, includono anche questi libri.

Nel XVI secolo, durante la Riforma protestante, i cattolici rispondevano alle critiche di Lutero contro la vendita delle indulgenze e le preghiere a favore dei defunti, citando il testo dei Maccabei. Giuda Maccabeo fece raccogliere duemila monete d’argento che inviò a Gerusalemme per offrire un sacrificio per il perdono dei peccati (cfr. 2 Maccabei 12:45). La pronta risposta di Lutero ribadì che quel brano non faceva parte della Scrittura.

Con la Controriforma, la Chiesa cattolica, nel Concilio di Trento (1546), stabilì che quegli scritti, rigettati dal mondo ebraico, dovevano invece essere ritenuti a pieno titolo canonici, pur appartenendo a un secondo elenco.

Per i protestanti questa letteratura ha un evidente valore storico, e per certi versi anche edificante, ma non può essere la base delle dottrine, per questo motivo l’Alleanza Biblica Universale, coeditrice della versione della Bibbia in lingua corrente (TILC), ha accettato di raccoglierli in una sezione a sé prima del Nuovo Testamento.

Tratto dal libro di D. Bognandi, G. Marrazzo, D. Romano, T. Rimoldi, S. Scuccimarri, 95 domande sulla Riforma protestante, 1517-2017 Cinque secoli di storia evangelica, Segni dei Tempi, anno LXIV, n. 1/2017, Ed. ADV, Firenze, 2017.

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[1] Vittorio Fantoni, op. cit., p. 3.

[2] Fulvio Ferrario (cur.), Lutero, opere scelte, vol. 1: Il Piccolo Catechismo – Il Grande Catechismo (1529), Claudiana, Torino, 1998, p. 75.

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