Buone Notizie #29

SUPPLEMENTI PER LA LETTURA E L’APPROFONDIMENTO

MILLENNIO

di Adelio Pellegrini

(dal libro AA.VV., Dizionario di dottrine bibliche, Edizioni ADV, Falciani Impruneta FI, 1990)

L’espressione «mille anni» che si trova nelle Sacre Scritture nove volte (Salmo 90:4; 23:8; Ecclesiaste 6:6, e sei volte in Apocalisse 20:1-7) ha dato origine al vocabolo «millennio» che viene messo in relazione con il testo dell’Apocalisse.

1. Il millennio attraverso i secoli

Nell’insegnamento rabbinico c’era un periodo di tempo intermedio tra il presente e l’epoca futura. Questo spazio era indicato come «il regno messianico». La sua durata, proprio perché i profeti d’Israele non l’avevano indicata, era di quarant’anni per gli uni, di mille e due mila per altri.

Nei primi secoli della chiesa si pensava, pur con delle varianti, che quando Gesù sarebbe ritornato, l’Anticristo sarebbe stato vinto e i credenti viventi con i morti resuscitati avrebbero regnato a Gerusalemme per mille anni. AI termine di questo periodo ci sarebbe stata la resurrezione generale ed il giudizio universale. Questa opinione molto affermata nei primi secoli della chiesa sparisce nei secoli successivi, principalmente per tre motivi.

a. La concezione dell’immortalità dell’anima, comune a tutte le religioni extra bibliche, venendo a far parte della dottrina cristiana a seguito dell’epoca apostolica, ha reso quasi inutile la resurrezione. Proponendo la vita piena nel Regno di Dio a seguito della morte, anche l’insegnamento del ritorno di Gesù perse il suo valore.

b. Il regno spirituale della chiesa inaugurato con la prima venuta del Signore e la pseudo conversione di Costantino che ha portato alla chiesa numerosi vantaggi, facilitandone l’espansione, ha fatto credere che la prosperità temporale ecclesiastica realizzasse le profezie escatologiche, smorzando di conseguenza l’attesa del Regno di Dio. Nella misura in cui il papato faceva progressi, il regno millenario di Cristo si confondeva sempre più con il regno della chiesa.

c. La Chiesa romana con l’estendersi della sua influenza e del suo potere, pur senza aver contrastato la dottrina biblica del millennio, non l’ha però riproposta come insegnamento ai fedeli. Si ha così che dal IV sec. il millennarismo non trova più difensori nella chiesa e dal V sec sembra che scompaia. L’idea la si ritrova ancora nel Medio Evo frammentata ed in pensieri contrapposti. Generalmente l’insegnamento contemporaneo evangelico ripropone una teoria che ha fatto i suoi timidi passi all’inizio del XIX sec. Secondo questa credenza, che è stata ampiamente rifiutata fin dal suo sorgere, Gesù verrà in modo invisibile a rapire in cielo la sua chiesa prima che la grande tribolazione colpisca la terra. All’Israele restaurato – al quale, secondo questo insegnamento, si applicano erroneamente delle dichiarazioni dei profeti che annunciavano il ritorno di Giuda dall’esilio di Babilonia – spetta il compito di preparare il mondo al Regno di Dio che si realizzerà al ritorno di Gesù dopo i mille anni. Nel mondo cristiano, a questo insegnamento se ne aggiunge un secondo, con delle varianti, perché non presentato da tutti nello stesso modo. Il Regno millenario di Cristo Gesù si inaugura con il suo ritorno, visibile per gli uni, invisibile per gli altri. Durante questo periodo il Signore governerà con autorità indiscussa, «con verga di ferro», impedendo la reazione di ogni opposizione e sarà un tempo di prosperità e di benessere mai visto. Sarà un’epoca d’oro. Mosè, Davide, Elia, Giobbe e molti altri governeranno con Cristo, secondo alcuni sulla terra, secondo altri dal cielo. Il benessere e la pace caratterizzeranno la vita su questo In quel tempo di mille anni, chi non avrà conosciuto l’annuncio del Vangelo di grazia quand’era in vita risusciterà affinché personalmente possa a sua volta scegliere tra la via della vita o quella della morte. Alla fine del millennio, Satana, che per tutto il tempo è stato legato, reso inoffensivo, verrà sciolto affinché possa nuovamente agire contro il Signore e sedurre gli uomini. Il Cristo, che si presenterà visibile per coloro che fino a quel momento governava invisibilmente, metterà fine ad ogni ribellione mandando all’inferno gli uni e alla vita eterna gli altri.

2. Il millennio nel Nuovo Testamento

Il millennio è il periodo di tempo che separa la vita del presente con tutte le sue miserie e contraddizioni, dal Regno eterno del Padre in cui ogni cosa sarà fatta nuova. L’inizio e la fine del millennio sono caratterizzati dalla resurrezione dei giusti, all’inizio, degli empi alla fine.

L’AT ha dei brani che sono stati compresi nella prospettiva del millennio: Isaia 2:15; 11:6-10; 60:17-22; 65:17-25; Amos 9:13-15; Zaccaria 14:16-21; ed altri ancora. Gesù era un millenarista quando, come i dottori d’Israele, insegnava la doppia resurrezione: quella dei giusti e quella degli ingiusti, all’udire della sua voce, anche se tra le due resurrezioni non specifica la differenza di tempo (Giovanni 5:29). Gesù è millenarista quando presenta il suo Regno come un tempo nel quale si giudicherà (Matteo 19:28).

L’apostolo Paolo ripropone l’insegnamento del millennio quando distingue i due avvenimenti: il ritorno di Gesù, che farà resuscitare gli eletti, e la sottomissione del Regno al Padre (1 Corinzi 15:23-25). Giovanni nell’Apocalisse vi dedica un lungo brano.

3. Il millennio biblico

La Parola di Dio non presenta il millennio come un’età d’oro e di prosperità vissuta dagli uomini sulla terra. Il mondo va verso una catastrofe, il ritorno di Gesù è l’intervento di Dio che impedisce gli uomini di distruggere la terra (Apocalisse 11:18). Il cap. 20 dell’Apocalisse è il brano che presenta più dettagli sul millennio. Mettendolo in riferimento ad altri scritti possiamo avere la descrizione degli avvenimenti che precedono questo periodo e un quadro completo.

Avvenimenti che precedono il millennio sulla terra. La Chiesa si è preparata (Efesini 5:26,27) è stata suggellata (Apocalisse 7:1-8) per partecipare alle nozze dell’Agnello (Apocalisse 19:7,8). La terra viene sconvolta dalle sette ultime piaghe (Apocalisse 16; 6:12-17). L’umanità attraversa la grande distretta che sarà causa di angoscia (Daniele 12:2; Matteo 24:21).

Avvenimenti che precedono il millennio in cielo. Gesù si accosta al Padre per ricevere «dominio, gloria e regno» (Daniele 7:9-13; Luca 19:14,15); gli angeli lo adorano quale Signore e Re (Apocalisse 11:15-17). Gesù è pronto per venire a raccogliere i credenti e condividere con loro il suo Regno (Romani 8:17).

Ritorno di Gesù. La seconda parte del cap. 19 dell’Apocalisse presenta Gesù che ritorna nella sua potenza quale «Re dei re e Signore dei signori». La fine del capitolo descrive l’ecatombe dell’umanità. La VII piaga ha sconvolto il mondo alterando anche la sua conformazione geografica e cosmica. La morte di coloro che hanno rifiutato la grazia liberatrice dell’Eterno toglie ogni supposizione a tutte le elucubrazioni inventate a proposito di un millennio terreno durante il quale i Giudei ed il mondo si convertiranno a Dio.

Il millennio viene inaugurato con il ritorno di Gesù che viene per dare la salvezza (Ebrei 9:28). Per questi motivi i giusti resusciteranno «per primi», dice Paolo (1 Tessalonicesi 4:14-17), e per loro Giovanni pronuncia una delle sette beatitudini dell’Apocalisse: «Beato e santo è colui che partecipa alla prima resurrezione» (v. 6).

Gesù non ritorna sulla terra, ma viene per togliere da essa e fare salire in cielo i credenti da Adamo fino a coloro che lo vedranno venire nella sua gloria i quali non sperimenteranno la morte (1 Corinzi 15:51-53). Questa prima resurrezione è il ritorno alla vita dal sonno dei morti da parte dei credenti e non vuole indicare una resurrezione spirituale. Questo modo di comprendere il testo biblico ha una doppia conferma. La prima: la parola «anima» del v. 4 indica la persona vivente, resuscitata, in possesso del suo corpo; la seconda conferma l’abbiamo nella resurrezione di coloro che non sono resuscitati all’inizio del millennio. Essa è della stessa natura e si colloca alla fine del millennio.

Durante il millennio sulla terra. Il pianeta terra, reso deserto da ogni essere vivente ed inabitabile perché sconvolto dagli ultimi avvenimenti, è il luogo in cui Satana viene relegato. Il testo biblico usa l’espressione «abisso» che in Genesi 1:2 presenta lo stato della terra prima della settimana creativa. L’abisso indica anche la dimora degli angeli decaduti (2 Pietro 2:4). Satana non può sedurre nessuno a causa della morte che regna attorno a sé. Gli viene impedito di recarsi presso altri esseri umani. Per questo si dice di lui che è legato.

L’imprigionamento di Satana in un mondo disabitato veniva raffigurato nel cerimoniale israelitico quando, nel giorno dello Yom Kippur, il capro per Azazel, principe dei demoni, dopo la purificazione del Santuario, veniva portato nel deserto, carico dei peccati commessi durante l’anno da Israele, e abbandonato al suo destino. Per mille anni il nemico di Dio e dell’umanità contemplerà l’opera delle sue mani.

Durante il millennio in cielo. Nulla nel testo dell’Apocalisse indica che il Regno millenario di Cristo Gesù con i martiri e i credenti sia vissuto sulla terra. Il testo di Giovanni non dice esplicitamente neppure il contrario; ma gli avvenimenti concomitanti con il ritorno di Gesù e la discesa della nuova Gerusalemme dal cielo (21:2) permettono di credere che il Regno del Signore sia celeste. Ai salvati che regneranno con Cristo sarà dato il potere di «giudicare» (20:4-6) come già altri brani avevano indicato questa funzione (Matteo 19:28; 1 Corinzi 6:2,3). La funzione di regnare comporta automaticamente quella del giudizio. Mediante questa opera ai salvati è dato di constatare il giusto giudizio di Dio ed il grado di responsabilità di coloro che hanno rifiutato la salvezza e passare così dalla fede nei confronti dell’Eterno alla constatazione della veridicità della sua opera. Come Paolo scriveva al Corinzi, anche gli angeli, in quell’occasione, verranno giudicati.

Fine del millennio. Alla fine del millennio Satana verrà «sciolto» e potrà riprendere la sua antica funzione di seduttore, questo perché gli empi resusciteranno. «Il rimanente dei morti -cioè coloro che non sono risorti alla prima resurrezione – non tornò in vita prima che fossero compiuti mille anni» (Apocalisse 20:5). Quest’opera di seduzione riunirà i non salvati in una battaglia che vorrà togliere dalla terra «il campo dei santi e la città diletta» (20:9). Sebbene il cap. 20 non dica espressamente che dopo il millennio il campo dei santi e la città diletta scenderanno dal cielo, questo avvenimento viene però descritto al cap. 21 nel quale si legge: «La santa città, la nuova Gerusalemme», cioè «la città diletta», quella che attendeva Abramo perché «ha i veri fondamenti ed il cui architetto è Dio» (Ebrei 11:10), viene vista «scendere giù dal cielo d’appresso a Dio pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (v. 2).

Prima della grande battaglia nella quale gli empi muoveranno contro la città di Dio, i vv. 11-15 del cap. 20 presentano il giudizio universale e chi non risponderà all’appello dei nomi scritti nel libro della vita verrà gettato nello stagno di fuoco che è la morte seconda.

Durata del millennio. Coloro che non vedono in questo periodo di mille anni un tempo letterale, considerano la cifra «mille anni» in senso simbolico con la quale si vuole però assegnare un tempo ben determinato, lungo, ma che comunque ha una fine. A. Reymond scrive: «Mille è la terza potenza di dieci, dieci è il numero del compimento, della perfezione terrestre. (Dopo questo periodo indicato dai mille anni) la terra sarà allora tutta penetrata dalle virtù celesti… la conclusione di ciò che Dio ha fatto in favore di un mondo immerso nel male. Lasciamo a Dio la cura di determinare la durata esatta di questa epoca».

REGNO DI DIO

di Adelio Pellegrini

(dal libro AA.VV., Dizionario di dottrine bibliche, Edizioni ADV, Falciani Impruneta FI, 1990)

Nel testo sacro il rapporto tra l’Eterno e le sue creature, più che essere presentato nella relazione monarca-suddito, è descritto con termini presi dall’ambiente familiare: padre-figlio (Deuteronomio 32:9-14; Osea 11:1-3; Malachia 1:16), marito e moglie (Isaia 54:5,6). Israele è unito a Yahweh mediante un’alleanza e non da una dipendenza di sudditanza.

Al principio della rivelazione l’Eterno non appare come re e neppure si presenta come tale quando chiama Mosè per liberare il suo popolo dall’Egitto (Esodo 3). Quando Israele entra nella terra promessa, sebbene attorniato da popoli governati da re, l’Eterno suscita dei Giudici a guida della nazione. Al tempo di Samuele il popolo chiede che sia eletto un re. Durante la monarchia davidica l’Eterno viene sempre più presentato come un re il cui dominio si estende su un regno. Nelle religioni pagane si conferivano alle divinità attributi monarchici. Anche in Israele i profeti e gli scrittori sacri nell’esprimere la loro fedeltà all’Eterno, usano il linguaggio della monarchia terrena applicandolo a Yahweh, fors’anche per contrapporlo alle false divinità regali straniere. Yahweh è quindi il sovrano unico e assoluto, padrone dei cieli e della terra che estende la sua signoria sul creato, nella storia (Isaia 40:22) e sul tempo, conoscendo la fine degli avvenimenti ancora prima del loro sorgere (Isaia 46:10). In questo contesto Dio stesso si rivela come re e viene visto seduto su un elevato trono (Isaia 6:1-3) e come sovrano che giudica, e un giorno chiamerà al  suo tribunale sia il suo popolo che tutte quante le nazioni (Sofonia 3:8).

La sovranità di Dio sulle sue creature non corrisponde però al potere dispotico delle monarchie umane, le cui ambizioni e i cui sentimenti sono stati attribuiti dalle molteplici mitologie anche alle divinità. Che la regalità del Dio d’Israele non rifletta le monarchie del tempo, il testo sacro lo fa notare quando il popolo chiede a Samuele un re (melek) politico come lo avevano tutti i popoli (1 Samuele 8:5,20). Dio risponde dandolo nella persona di Saul (1 Samuele 8:22). Poi in Davide, persona secondo il suo cuore (Atti 13:22), diede sì un re (melek) (1 Samuele 16:1) che però aveva la funzione di pascere il popolo e di esserne, quale rappresentante di Dio – il trono di Davide era considerato il trono dell’Eterno (1 Cronache 29:23) – il capo (nagid), pastore, guida, cioè re nella sua funzione religiosa. È in questa ottica che il Messia, che sarebbe disceso da Davide, sarebbe stato principe e governatore di tutti i popoli (Isaia 55:4; Daniele 9:25). Con queste caratteristiche di colui che guida, protegge e raccoglie il suo popolo, come il pastore fa con le sue pecore, l’Eterno viene presentato nella sua regalità (Salmo 23; 80; Ezechiele 34).

Gesù stesso presenta l’Eterno più come padre che come re. Quando i discepoli e il popolo  vogliono fare di lui il re potente che può competere con le monarchie e gli imperatori del tempo, Gesù si sottrae e si ritira sul monte (Giovanni 6:15). Sebbene Gesù abbia dato alla predicazione del Regno un valore prioritario (Matteo 9:35; Luca 8:1), ai suoi discepoli, che ricercavano il potere  e l’autorità, presenta la natura del dominio divino nel servizio e nel darsi per gli altri (Matteo 20:25-28). Gesù dimostra la forma del potere divino quando nell’ultima «Cena», dopo aver lavato i piedi sporchi dei discepoli, dice loro: «Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene perché lo sono» (Giovanni 13:13). La croce è il segno della sua autorità regale di servizio. La maestà e la regalità di Dio non consistono quindi nell’avere le creature ai suoi piedi prostrate in adorazione, ma nella loro felicità che si esprime con il canto e l’adorazione come conseguenza della grazia e del servizio che l’Eterno ha reso a loro.

È forse per evitare equivoci che il cristianesimo apostolico preferisce attribuire a Dio il titolo di Signore piuttosto che quello di re che evoca un’idea di tirannia dispotica.

Tenuto conto di questa premessa riportiamo una sintesi fatta da A. Vaucher: «Dio è eterno. Per definizione, Dio è re (Salmo 97:1; Isaia 52:7; Geremia 46:18) e il suo regno è eterno, senza inizio né fine, come lui stesso. Di diritto era re prima di ogni creazione. Di fatto lo è sul vasto universo da quando il suo potere si è manifestato». «All’Eterno appartiene il  regno»,  scriveva  il  salmista (Salmo 22:20). «L’Eterno regna»: è un ritornello che si ripete frequentemente nella letteratura ebraica (Salmo 93:1; 96:10; 99:1; ecc). «Il tuo regno è un regno eterno – e la tua signoria dura per ogni età», diceva Davide rivolgendosi a Dio (Salmo 145:13). «L’Eterno regnerà per sempre ed in perpetuo» (Esodo15:18). Dio, re dell’universo. Illimitata nel tempo, la sovranità di Dio lo è anche nello spazio. Re del cielo (Daniele 4:37), Re della terra (Salmo 47:2,7), Dio regna dappertutto. Assoluto prima della ribellione di Lucifero, l’universalità del regno di Dio non è che relativa attualmente, perché Dio rispetta la libertà delle sue creature morali. Pur permettendo agli uomini di governarsi a loro piacere, Dio non abdica. Rimane il Re d’Israele (Isaia 44:6; Sofonia 3:15). Dopo l’eliminazione dei malvagi incorreggibili, la sovranità di Dio ridiventerà assoluta. Dio sarà allora  tutto in tutti (1 Corinzi 15:28)».

Regno di Dio contemporaneamente presente e compiuto nel futuro

Il regno di Dio è contemporaneamente presente e futuro. Le parabole di Gesù ci permettono di  dire che il regno di Dio è presente quando il seme della sua parola viene sparso (Matteo 13:3- 9);  è nascosto come il lievito nella pasta (Matteo 13:33); cresce per la sua stessa forza (Matteo 13:33; Marco 4:26-29); si ingigantisce come un albero (Matteo 13:31); il suo valore è incalcolabile (Luca 17:20); può essere osservato, come il buon grano che cresce (Matteo 13:24 ss), ma non può essere confuso con la zizzania; ha il volto del piccolo gregge (Luca 12:32); ai suoi componenti Dio dà dei talenti per farli fruttare (Matteo 25:14 ss) e fa loro misericordia (Matteo 18:23 ss); il sermone sul monte ne indica i cittadini (Matteo 5-7); i miracoli compiuti da Gesù sono la prova della sua presenza (Matteo 12:28) perché in esso non possono dimorare la malattia e la morte (Marco 1:24; Matteo 8:29; 12:28). A questa presenza attuale del regno si contrappone la sua realizzazione  futura alla fine dei secoli. In questo intervallo ai discepoli è dato di operare a vantaggio del regno (Luca 19:12) e quando questo annuncio si sarà esteso a tutti gli abitanti della terra (Matteo 24:14) allora il Signore ritornerà rivestito della sua regalità (Luca 19:12 ss) per introdurre nel suo regno la Chiesa, la sua Sposa che si è preparata (Efesini 5:26,27; Apocalisse 19:7).

Questo regno è contemporaneamente presente e avrà il suo compimento nel futuro; esso costituisce attualmente una speranza; non è un ideale da raggiungere ma un dono che le creature libere devono accettare da Dio (Luca 12:32; 22:29). Per la scelta che gli uomini faranno non a tutti sarà dato (Matteo 22:14).

Regno di Dio – Regno dei cieli

A queste due espressioni si può aggiungere «regno di Cristo». Le si trovano nel Nuovo  Testamento 133 volte, ma non vogliono esprimere due (o tre) regni distinti e contrapposti, bensì la stessa realtà. Queste espressioni sono sinonime e quindi, come tali, intercambiabili (Matteo 3:2; Marco 1:15). Esse non indicano tanto un luogo geografico in cui questo regno è collocato, ma esprimono una situazione: lo stato d’animo di uno o più esseri nei confronti dei quali Dio può esercitare la sua signoria.

Il re del regno di Dio

Il regno di Dio è lo scopo della creazione, è il termine verso il quale l’Eterno dirige la storia. Il ristabilimento del regno sul mondo ha delle fasi diverse: preparatorio e di grazia nel presente,  reale nel futuro. I libri apocalittici di Daniele e di Giovanni, l’Apocalisse, sono i principali testi che ci permettono di spiegare il significato dell’evolversi della storia fino a quando l’Eterno regnerà di  fatto sull’universo.

Nel VI sec a.C. Daniele, nel cap. 2 del suo scritto, presenta una statua di diversi metalli e, per rivelazione, anticipa nel tempo l’evolversi dei regni di questo mondo da Babilonia (testa d’oro) al regno medo-persiano (petto e braccia d’argento), al regno greco-macedone (bacino di rame), all’impero romano (gambe di ferro). l piedi e le dita in parte di ferro e in parte di argilla, raffigurano la coesistenza di due poteri distinti: politico temporale, l’uno (il ferro), ecclesiastico religioso, di natura diversa rispetto a tutti i precedenti, l’altro (l’argilla). Essi si manifestano prima della   caduta dell’impero romano, il cui smembramento è rappresentato dalla divisione delle dita e sussistono anche dopo nelle nazioni che si costituiranno sull’antico territorio dell’impero. Questa statua verrà infranta senza opera di mano, cioè senza l’intervento umano, da una pietra che si stacca da un monte, emblema del regno di Dio. Spazzati via i frammenti della statua, la pietra diventa un   grande monte e riempie tutta la terra costituendo un regno che non passerà più sotto il dominio di nessuno. Con Agostino e Crisostomo si è introdotto nella cristianità il pensiero che la pietra fosse   il cristianesimo che si estendeva nel mondo, ma tutti i rabbini, i Padri della Chiesa e  i commentatori cristiani hanno visto nella pietra ciò che il testo biblico vuole indicare: il regno messianico che si realizzerà alla fine dei tempi.

Nel cap. 7 il profeta Daniele presenta l’investitura del Re, di questo regno messianico, nel Figliuol dell’uomo che si accosta all’Altissimo per ricevere il regno. Questa investitura il profeta non la mette in relazione con la morte e risurrezione del Messia, ma a conclusione del giudizio  preliminare che avviene dopo la supremazia secolare di un potere politico-religioso sorto dalla divisione dell’impero romano. Questo Potere, pur avendo un piccolo territorio geografico, ha avuto una diffusione più grande degli altri regni dell’Europa latina, ha proferito cose grandi, ha perseguitato i credenti, ha cercato di cambiare i giorni del culto e di modificare la legge di Dio.

Alla risurrezione-ascensione Gesù, salito in cielo, si è posto a sedere alla destra del Padre (Ebrei 1:3; 8:1; Apocalisse 3:21) e può dire ai suoi discepoli che ogni podestà gli è stata data (Matteo 20:28). La podestà ricevuta non corrisponde al regno, Gesù stesso non parla di regalità.

Il cap. 8 di Daniele presenta la purificazione dei sudditi del regno mediante la purificazione del Santuario. Dopo che il popolo è stato purificato e il Figliuol dell’uomo è stato rivestito della sua regalità, i primi versetti del cap. 12 lo presentano che viene per liberare i suoi sudditi dalla grande distretta di questo mondo, i morti risusciteranno. II regno eterno del Padre non corrisponde però al regno del Figlio che viene inaugurato con il suo ritorno (vedi Apocalisse 20).

L’apostolo Paolo precisa e distingue queste differenti fasi: «Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati; ma ciascuno nel suo proprio ordine: Cristo, la primizia, poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta; poi verrà la fine, quand’Egli (Cristo) avrà rimesso il regno nelle mani del Dio Padre, dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà ed ogni potenza. Poiché bisogna che Egli (Gesù) regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte» (1 Corinzi 15:22-27).

«Poi verrà la fine». Il «poi» di Paolo non identifica la fine con la parusia (ritorno glorioso di Gesù). Se così fosse Paolo avrebbe dovuto dire «allora» e non «poi» che significa in seguito. Al momento della parusia non avviene la fine perché la morte non verrà ancora distrutta. La parusia sarà separata dalla fine, cioè dalla rimessa del regno del Padre, da un’epoca di giudizio a seguito del quale il male sarà distrutto e il Figlio sottoporrà al Padre il mondo restaurato «affinché Dio sia tutto in tutti» (1 Corinzi 15:28). Il regno di Cristo che «non avrà mai fine» non verrà annullato, ma compiuto in quello del Padre.

Nella terra restaurata l’umanità vivrà faccia a faccia con l’Eterno e avrà «in fronte il suo nome» e rifletterà i suoi pensieri. Questo singolare «suo nome» (Apocalisse 22:4) riunisce Dio Padre e Dio Figlio, come una unità indivisibile.

Il nostro pianeta che è stato nell’universo teatro della lotta millenaria tra il bene ed il male (il cap. 22 dell’Apocalisse ci permette di pensare) diventerà la sede del governo di Dio, il luogo della sua dimora, il centro dell’universo, alla gloria di Dio, il cui nome sarà benedetto in eterno. Il piano della salvezza che durante i secoli è stato per gli angeli stessi oggetto di studio (1 Pietro 1:12) nell’eternità sarà contemplato nel Figliuol dell’uomo che porterà i segni dell’Agnello di Dio.

VITA ETERNA

di Mario Maggiolini

(dal libro AA.VV., Dizionario di dottrine bibliche, edizioni ADV, Falciani Impruneta FI, 1990)

Un pensiero costante domina il nostro essere: vivere, e vivere eternamente. Tale anelito di vita senza fine non è per niente bizzarro o irragionevole negli uomini. La Bibbia afferma che Dio stesso ha «messo nei loro cuori il pensiero dell’eternità» (Ecclesiaste 3:11). Così, dal ribollio dei pentoloni con le «pozioni» dei primitivi al maneggio dell’alchimia medioevale dei maghi e delle fattucchiere, dalle scoperte della moderna farmacologia e della chirurgia estetica alle più recenti «ibernazioni», dalle intuizioni geniali agli errori più macroscopici, è stata una corsa continua quanto vana dell’uomo contro il tempo, l’invecchiamento e la morte.

Eppure, questo traguardo non è qualcosa di incerto, di nebuloso e incolore. È una realtà esaltante e attuale, è il dono di Dio messo a disposizione di tutti gli uomini. Non limitato al traguardo di una vita ultra centenaria priva di ansie, desideri, invidie; ma a quello di una vita santa, felice, gloriosa contraddistinta da una assoluta impossibilità di un termine: «…il dono di  Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore» (Romani 6:23).

1. Vita eterna e immortalità

Come ci sono due tipi di condotta, così ci saranno due diverse retribuzioni. La distruzione per i malvagi, e la «vita eterna a quelli che con la perseveranza nel bene operare cercano gloria e onore e immortalità» (Romani 2:7). «Vita eterna» e «immortalità» sono due termini che incontriamo nelle Sacre Scritture. Il primo indica un tempo senza limiti, senza fine, dono di Dio  in Cristo Gesù. Il secondo la non soggezione alla morte, l’incorruttibilità che  sarà  data  ai credenti alla risurrezione ed è parte della «vita eterna».

2. L’immortalità: Dio e l’uomo

In tutta la Bibbia, una sola volta si trova l’aggettivo «immortale» ed è riferito a Dio come attributo della sua Divinità: «Or al re dei secoli, immortale, invisibile, solo Dio, siano onore e gloria nei secoli dei secoli» (1 Timoteo 1:17). Il suo sostantivo: «immortalità», si ritrova cinque volte. In 1 Timoteo 6:16, ove esplicitamente si afferma che Dio solo la possiede: «Il quale solo possiede l’immortalità». In Romani 2:7, ove troviamo un invito a ricercarla: «…a quelli che con la perseveranza nel ben operare cercano gloria e immortalità…». In 2 Timoteo 1:10, ove essa appare frutto del Vangelo: «…Gesù Cristo… ha prodotto in luce la vita e l’immortalità mediante l’evangelo». In 1 Corinzi 15:53,54, dove è indicato che essa sarà conferita ai redenti al suono dell’ultima tromba, quando Gesù ritornerà: «Poiché bisogna che questo corruttibile rivesta incorruttibilità, e che questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: La morte è stata sommersa nella vittoria».

Riassumendo: Dio solo è immortale e Lui solo può donare l’immortalità. L’immortalità non è qualcosa che possediamo fin dalla nascita, ma qualcosa che dobbiamo, invece, ricercare e ottenere mediante il Vangelo. L’immortalità diverrà effettiva al momento glorioso della risurrezione.

3. La vita eterna: Gesù e l’uomo

Il concetto di «vita eterna» nel Nuovo Testamento, e in particolare nei sinottici, rispecchia quello dell’Antico Testamento. Consiste in un perenne felice succedersi di età nel Regno di Dio, quale dono futuro che i giusti riceveranno: «Chi ama la sua vita la perde, ma chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna» (Giovanni 12:25).

In Daniele 12:2, la «vita eterna» è collegata alla risurrezione: «E molti di coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni per la vita eterna, gli altri per l’obbrobrio, per una eterna infamia», in accordo perfetto con l’affermazione di Gesù in Giovanni 5:28: «Non vi meravigliate di questo, perché l’ora viene in cui tutti quelli che sono nei sepolcri, udranno la sua voce e ne verranno fuori: quelli che hanno operato bene in risurrezione di vita, e quelli che hanno operato male, in risurrezione di giudizio».

La vita che viviamo qui, è solo un periodo di prova durante il quale ognuno ha la possibilità di scegliere tra la vita e la morte, giusta ricompensa del bene l’una, del male l’altra. E i figli di Dio erediteranno una vita futura felice che non avrà mai fine. Di questa vita futura era interessato il «giovane ricco» che rivolgendosi a Gesù gli chiese: «Maestro che farò io di buono per aver la vita eterna?» (Matteo 19:16). Identica domanda, ma mossa da ben altro spirito, quella del carceriere di Filippi a Paolo e ai suoi compagni: «Che debbo io fare per essere salvato?» L’apostolo rispose: «Credi nel Signor Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia» (Atti 16:31). Credere in Gesù, ecco la prima e più importante condizione. Non dice forse la Scrittura che  Dio «ha dato il Suo unigenito Figliuolo affinché chiunque crede in lui non perisca ma abbia vita eterna»? (Giovanni 3:16) Gesù stesso afferma: «Chi cresce in me, anche se muoia vivrà… Poiché questa è la volontà del Padre mio, che chiunque contempla il Figliuolo e crede in Lui, abbia vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Giovanni 11:25; 6:40; 12:25). Credere in Gesù, dunque. Credere in Lui che è sceso su questa terra per portare questo «dono» di Dio. Credere nella efficacia del suo sacrificio espiatorio e nella sua misericordia. Credere in Lui affidandogli il timone della nostra vita. Credere, sì. Perché la fede è l’atto per eccellenza gradito da Dio e nel quale sono racchiuse le capacità di ben operare da parte dei santi, quell’atto che permetterà di fare nostra la «vita eterna».

4. La vita eterna… ma fin da quando?

Il concetto di «vita eterna» negli scritti di Giovanni ha un senso tutto particolare, proprio, attuale. Si riferisce, sì, a quella vita futura che godremo con il ritorno di Cristo, ma l’esperienza di questa partecipazione comincia nel «presente». La si riceve quando uno «crede» in Gesù. L’apostolo presenta questo concetto, riportando la frase del Battista che proclama l’importanza della fede  in Cristo: «Chi crede nel Figliuolo ha la vita eterna» (Giovanni 3:36).

Questa vita è un possesso presente del credente, non un bene futuro per l’ora della  risurrezione. Allora sarà solo completata, resa perfetta. Però è «dono» di Dio fin dal momento in cui uno crede. Scrive lo Stewart: «Quanto son pochi, anche fra i credenti, quelli che vivono avendo sempre presenti il privilegio e l’onore che vengono loro conferiti nelle parole: “Chi crede nel Figliuolo ha la vita eterna”. Un tale non deve sospirare con cuore ansioso un privilegio  ancora lontano; la vita eterna è sua dal momento che egli crede. Il perdono, la pace e l’assoluto diritto alla vita eterna divengono il suo possesso dall’istante che egli ha posto in Dio la sua fiducia. Questa è una delle più gloriose verità dell’evangelo. Non vi sono opere da fare, condizioni da adempiere, prezzo da pagare, anni di noviziato da compiere prima che un peccatore possa venire accettato da Dio. Crede in Cristo, e subito riceve il perdono e diviene possessore di una vita che non avrà mai fine» (Commentario Esegetico, Firenze 1923, vol. I, p. 801).

Giustamente J. Knox traduce: «Colui che crede nel Figliuolo possiede la vita eterna. Possedere Cristo è avere vita eterna! La certezza che Cristo vivente in noi cambia ogni cosa nella nostra vita, porta l’apostolo Paolo ad esclamare: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in  me» (Galati 2:20). Cristo vive in noi, quindi c’è una nuova vita, e Dio ci salva non per i nostri meriti, ma perché «crediamo» nel suo Figliuolo.

Per l’apostolo Giovanni la «vita eterna» è totalmente cristocentrica: «Io sono la via, la verità, la vita» (Giovanni 14:6). La potenza vitale procede da Gesù perché, come scrive Giovanni nella  sua prima epistola, Egli «è il vero Dio e la vita eterna» (1 Giovanni 5:20). Cristo è il fatto centrale, la chiave di lettura della nostra vita attuale e futura. In colui che crede, la risurrezione e la vita di Gesù sono pienamente realizzate nel presente. Divengono una cosa sola, divengono una vita nuova da questo momento.

Seguiamo altre importanti affermazioni negli scritti di Giovanni.

Giovanni 5:24. «In verità, in verità io vi dico: Chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi   ha mandato ha la vita eterna, e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita». Chi accetta Cristo, entra subito in possesso della vita eterna. «Egli non ha più nulla da temere dal giudizio dell’ultimo giorno. Molti suppongono erroneamente che i credenti entrano in possesso della vita eterna solo all’ora della morte, o nel giorno del giudizio; ma una tale teoria è in diretta opposizione all’insegnamento di Cristo, e pregiudizievole al conforto e alla gioia dei credenti in questa vita, in quanto la vita eterna non è che la crescenza, l’espansione e la perfezione di  quella vita spirituale che lo Spirito di Dio impianta nel cuore al momento della conversione, e   che riceverà la sua consumazione nella gloria. Gesù ci dice qui che il vero credente è già in possesso della vita eterna, durante il suo pellegrinaggio terrestre: “Egli ha vita eterna”» (G. STEWART, Ibid, p. 827).

Giovanni 6:47. «In verità, in verità, io vi dico: Chi crede in me ha la vita eterna». Gesù si propone come l’oggetto della fede: «Chi crede in me». Chiunque crede veramente in Lui diventa subito partecipe della vita eterna.

Giovanni 6:54. «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna,  ed  io  lo risusciterò nell’ultimo giorno». Ecco un altro commento dello Stewart: «Questa è una ripetizione, in modo positivo, (come nel v. 51) della verità espressa negativamente nel precedente versetto, fatta per imprimere più profondamente, nei suoi uditori, la necessità di quell’unione con lui mediante la fede, la quale è l’unico modo per l’uomo di giungere a vita eterna: «Ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno». Questa è la quarta volta che il Signore pronuncia queste parole (vv. 39,40,44), ma in contesti diversi: il motivo della loro ripetizione in questo versetto sembra essere di distinguere fra quella vita eterna che è concessa «qui e subito», al momento della conversione, e la resurrezione del corpo all’ultimo giorno, la quale sarà l’apogeo della resurrezione spirituale e la consumazione della redenzione dell’ ‘intero’ uomo» (Ibidem, p. 846).

Giovanni 10:28. «E io dò loro la vita eterna, e non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia mano». «Il primo e il più importante di tali privilegi è la vita eterna, che Gesù concede ai suoi, non appena hanno creduto in lui. Una tal verità Egli l’aveva già proclamata con sufficiente chiarezza (5:24; 6:37,40), la ripete qui per convincere tutti che quel dono della vita eterna non è un dono che i credenti debbano sperare e aspettare, finché non li colga la morte; bensì un dono di cui vengono messi in possesso fin dal momento in cui hanno creduto. Gesù non avrebbe potuto proclamarsi più chiaramente Dio, uguale al Padre, che col dire: “Io  dò  loro  la  vita eterna”» (Ibidem, p. 901).

Giovanni 20:31. «…queste cose sono scritte, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figliuolo  di Dio, e credendo, abbiate vita nel suo nome». La «vita eterna» non è conquistata grazie ai nostri meriti. È semplicemente il dono gratuito di Gesù, dono che Egli ci ha comprato mediante  la sua morte sulla croce al posto nostro. «Questa vita non è intrinseca all’uomo. Non la si può possedere che in Cristo. Non la si può meritare; essa è data gratuitamente a chiunque crede in Gesù Cristo come Salvatore personale» (E.G. WHITE, Signes of the Times, 8 aprile 1897).

Credere in Cristo, ci permette di entrare qui e ora in possesso di questo dono, per continuare a viverlo pienamente dal giorno del suo ritorno in poi. Se confrontiamo queste affermazioni con quelle dell’apostolo Paolo, notiamo le stesse prospettive cristocentriche  della  vita.  «Poiché come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati» (1 Corinzi 15:22). Certo l’apostolo parla di una risurrezione finale, ma parla anche di una vita spirituale  abbondante che possiamo vivere «qui e ora» in Cristo secondo la sua stessa promessa: «Io son venuto perché abbiano vita e l’abbiano ad esuberanza» (Giovanni 10:10). Questa vita «ad esuberanza» è un anticipo di quel che saremo e avremo nel futuro con Gesù, è una realtà presente che continua nel mondo a venire. Il cristiano è stato trasportato dalla morte alla vita (Efesini 2:1) e vive per entrare in quella eterna con i santi e con Cristo (Galati 6:8).

Coloro che invece respingono l’evangelo, «saranno puniti di eterna distruzione, respinti dalla presenza del Signore e dalla gloria della sua potenza» (1 Tessalonicesi 1:9).

Torniamo alla domanda del carceriere di Filippi: «Che debbo io fare per essere salvato?» La risposta di Paolo è pronta e precisa: «Credi nel Signore Gesù»! Cosa vuol dire l’apostolo? Chiede forse che si creda al personaggio «storico» Gesù? Noi crediamo in Dante e in Napoleone; non li abbiamo mai visti, ma crediamo che essi siano esistiti realmente. Ma tutto termina lì. Forse Paolo chiede al carceriere di credere in Gesù Cristo nella stessa maniera? No! Non dobbiamo credere in Gesù per sentito dire e basta. Credere «in» indica quella fiducia che   si può riporre solo in Gesù, Figlio eterno di Dio e unico Salvatore nostro. Significa accettare la sua Parola senza dubbiose esitazioni e domande. Se Egli ci dice: «Questa è la Via; camminate per essa», allora questa è la strada che dobbiamo percorrere. Se Egli dice: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano», questo deve diventare parte naturale della nostra vita. Se Egli dice: «Io… tornerò», noi dobbiamo dirigere la nostra vita verso quell’evento vivendo come se fosse imminente, alla porta.

In altre parole, dobbiamo pensare come Egli pensò, credere come Egli credette, vivere come Egli visse. La sua fede deve essere la nostra, i suoi traguardi i nostri traguardi.

Quando si ottiene la «vita eterna»? In principio, dal momento in cui uno «crede» in Cristo Gesù suo Salvatore personale. Perché così riveste Cristo nell’uomo interno e lo Spirito Santo rigenera il suo cuore. Ma in modo definitivo e completo alla resurrezione dei giusti, per viverla perennemente con il Signore.

Come sarà la «vita eterna», quando Cristo ritornerà? Nessuno è in grado di descrivere la «realtà» delle cose. «Le cose che occhio non ha vedute, e orecchio non ha udite, e non sono salite in cuor d’uomo, son quelle che Dio ha preparate a quelli che l’amano», esclama l’apostolo Paolo (1 Corinzi 2:9). Noi siamo incapaci di descrivere la ricompensa che Dio darà. Dalla lettura di  alcuni  capitoli  dei  libri  di  Apocalisse  e  del  profeta  Isaia,  possiamo  tentare  solo  di «immaginarla».

Scrive E.G. White: «Nella nuova terra le menti immortali  contempleranno  con  instancabile delizia le meraviglie della potenza creatrice e i misteri dell’amore che redime. Là non ci sarà più nessun nemico crudele e ingannatore per indurci a dimenticare Dio. Ogni nostra facoltà potrà svilupparsi, ogni capacità accrescersi. L’acquisizione della conoscenza non affaticherà la mente o consumerà le energie. Le più alte ispirazioni saranno appagate, le più grandi imprese saranno portate a termine, le più nobili ambizioni saranno soddisfatte. Eppure vi saranno sempre nuove vette da raggiungere, nuove meraviglie da ammirare, nuove verità da scoprire, nuovi obiettivi  che chiameranno in causa le facoltà della mente, dell’anima e del corpo.

I tesori inesauribili dell’universo saranno dischiusi allo studio dei redenti di Dio. Non più limitati dalla morte, essi potranno librarsi in volo verso i mondi lontani, verso quei mondi che fremevano di tristezza alla vista del dolore umano e che intonavano inni di tripudio alla notizia che un’anima era stata salvata. Con indicibile letizia i figli della terra entrano nella gioia e nella sapienza degli esseri che non sono caduti, per partecipare con loro ai tesori della conoscenza  e  dell’intelligenza accumulati attraverso i secoli con la contemplazione delle opere di Dio. Con una chiara percezione essi contemplano la gloria del creato: i soli, le stelle, le galassie, che nelle  loro orbite ruotano ordinatamente intorno al trono di Dio. Su tutte le cose, dalla più piccola alla più grande, è scritto il nome del Creatore: in tutte sono rivelate le dovizie della sua potenza.

A mano a mano che trascorreranno gli anni dell’eternità, vi saranno sempre più grandi e più gloriose rivelazioni di Dio e di Cristo. Poiché la conoscenza è progressiva, aumenteranno anche l’amore, la riverenza e la felicità. Più gli uomini conosceranno Dio, più essi ammireranno il suo carattere. Via via che Gesù dischiuderà agli eletti le ricchezze della redenzione e i meravigliosi risultati conseguiti nella grande lotta contro Satana, i cuori dei redenti palpiteranno di amore più intenso, e con gioia estatica faranno vibrare le loro arpe d’oro, mentre miriadi di miriadi e  migliaia di migliaia di voci si leveranno in un coro di lode.

“E tutte le creature che sono nel cielo e sulla terra e sotto la terra e sul mare e tutte le cose che sono in essi, le udii che dicevano: A Colui che siede sul trono e all’Agnello siano la benedizione e l’onore e la gloria e l’imperio, nei secoli dei secoli” (Apocalisse 5:13).

Il grande conflitto è finito. Il peccato e i peccatori non ci sono più. L’intero universo è purificato. Per tutto il vasto creato corre un palpito di armonia e di letizia. Da Colui che ha creato tutte le cose fluiscono la vita, la luce e la gioia che inondano i vari settori dello spazio  infinito.  Dall’atomo più impercettibile al più grande dei mondi, tutte le cose, quelle animate e quelle inanimate, nella loro bellezza e nella loro perfezione dichiarano con gioia che Dio è amore»  (E.G. WHITE, II Gran Conflitto, Firenze, 1977, pp. 491,492).

Sì, la mente e la penna umana possono solo tentare di immaginare e descrivere molto imperfettamente come sarà la «vita eterna» futura, su questa terra rigenerata da Dio. Però una cosa possiamo fare: perseverare nel cammino della verità. «Tu, uomo di Dio, fuggi queste cose, e procaccia giustizia, pietà, fede, amore costanza, dolcezza; combatti il buon combattimento della fede, afferra la vita eterna, alla quale sei stato chiamato…» (1 Timoteo 6:11,12). E con la grazia di Dio la realtà futura sarà nostra. Che cosa possiamo desiderare di più?

Bibliografia

La confessione di fede degli Avventisti del 7° Giorno, Le 28 verità bibliche fondamentali, Edizioni Adv, Impruneta Firenze, 2010, capitoli 27 e 28.

Per acquistare questo volume puoi visitare il sito: www.edizioniadvshop.it o richiederlo al responsabile della libreria di chiesa della comunità avventista che frequenti.

Doukhan,, J.B., Il grido del cielo, Edizioni Adv, Impruneta Firenze, 2001.

(Questo libro è attualmente esaurito – lo si potrebbe trovare in qualche libreria di chiesa o famiglia avventista)

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