Buone Notizie #18

SUPPLEMENTI PER LA LETTURA E L’APPROFONDIMENTO

CHIESA

di Alessio Del Fante

(dal libro AA.VV., Dizionario di dottrine bibliche, Edizioni ADV, Falciani Impruneta FI, 1990)

Dal greco ekklesia, assemblea.

La parola deriva dalla preposizione ek (fuori da) e dalla radice verbale kaleo (chiamo). Nel greco classico tale parola si riferiva all’assemblea pubblica del popolo della «polis» (città stato), che, riunitosi in consiglio, esercitava le sue funzioni politiche. In questo ambito quindi ci si riferisce esclusivamente ad una realtà politica, non si parla di «ekklesia» con riferimento alla riunione di una collettività per uno scopo religioso.

Il termine, così come lo incontriamo nel Nuovo Testamento (NT), ha la sua origine letteraria più prossima nella traduzione in greco dell’Antico Testamento (AT) (la LXX), dove traduce l’ebraico qahal (cfr. Deuteronomio 23:2 ss; 1 Re 8:14,22; Michea 2:5) nel significato di «congregazione», «assemblea», «riunione». È tuttavia nell’ambito degli scritti neotestamentari che la nozione di chiesa si incontra in modo molto frequente. Però la sua presenza in un solo Vangelo, per un totale di tre volte soltanto (Matteo 16:18; 18:17), ha suscitato diverse obiezioni sull’autenticità dei testi in questione, in particolare del noto Matteo 16:18, che contiene il famoso e controverso detto di Gesù: «Tu sei Pietro e su questa pietra…».

Il fatto che Gesù non parli mai, almeno esplicitamente, della comunità ecclesiastica, e la fervida attesa, da parte della primitiva comunità cristiana, di un imminente ritorno di Cristo, ha convinto molti studiosi che Gesù non abbia mai inteso fondare una sua comunità organizzata. La chiesa sarebbe sorta solo come esigenza successiva, nel quadro dell’allungarsi dei tempi e del progressivo superamento della delusione per il ritardo della seconda venuta del Salvatore. Tuttavia, dopo un esame attento dei testi, è possibile giungere alla conclusione che Gesù parla della chiesa riferendosi alla nozione veterotestamentaria di «resto eletto». Nell’escatologia dell’AT, all’attesa del Messia, che sarebbe venuto alla fine dei tempi, si associa sempre una comunità della fine che erediterà il Regno promesso (si leggano in particolare per questo i testi di Daniele 7 e Isaia 4:3; 10:21-23). L’assenza di tale vocabolo nella predicazione di Gesù quindi non implica la sua assenza nel suo pensiero. Infatti il Maestro vi si riferisce continuamente per mezzo di immagini e di gesti significativi.

Tutti hanno presente le immagini dello sposo e degli invitati nella parabola delle nozze (Matteo 22:1-14); il detto sul Tempio che sarà edificato (Giovanni 2:19; Matteo 26:61); l’autoidentificazione di Gesù nella «pietra angolare» (Matteo 21:42; Marco 12:10; Luca 20:17); la figura del buon pastore cui si associa il suo gregge (Luca 12:32; Giovanni 10:1-5,11-16; 21:17). Non dimentichiamo poi che Gesù ha costituito intorno a sé una piccola comunità o il suo nucleo iniziale nel gruppo dei 12 apostoli.

Di grande significato risulta anche l’istituzione della Santa Cena, in collegamento con l’antica festività giudaica della Pasqua, durante la quale Gesù annuncia il nuovo patto che si costituirà in seguito alla sua morte. È ora evidente che ogni patto è bilaterale e che quindi Gesù aveva in mente un popolo che sarebbe sorto aderendovi (cfr. Matteo 26:26-29; Marco 14:22-26; Luca 22:15- 20; 1 Corinzi 11:23-26).

Infine, il Maestro stesso, abbandonandoli definitivamente dopo la sua resurrezione, indica ai discepoli il loro compito nell’attesa del suo ritorno: predicare in tutto il mondo la buona novella e battezzare quanti avranno creduto (Matteo 28:19-20; Marco 16:14-18; Atti 1:6-8). Tale missione non può che preludere alla formazione della comunità.

Negli Atti degli Apostoli, dopo l’ascensione, assistiamo alla formazione progressiva della chiesa, dal suo umile inizio nella camera alta al suo diffondersi per mezzo dei grandi discorsi e della testimonianza degli Apostoli, a Gerusalemme prima, nell’ambito quindi dell’ebraismo, e in tutto il mondo pagano poi, come realizzazione piena del mandato di Cristo (Atti 11:19 ss).

L’apostolo Paolo, cui si deve l’edificazione della chiesa tra i Gentili, ci presenta la bellissima immagine di questa chiesa come di un corpo, anzi del corpo di Cristo stesso, del quale Gesù è il capo e, come tale, il principio dell’unità e della coerenza di ogni membro (vedi Romani 12:4-8; 1 Corinzi 12:12 ss). L’insistenza sulla necessaria unità del corpo di Cristo torna, a più riprese, nelle epistole paoline come un requisito essenziale all’edificazione della chiesa (vedi 1 Corinzi 3:1-11; Efesini 4:3,13).

Infine, coerentemente con l’insegnamento di Gesù secondo il quale «dove due o tre sono riuniti nel Suo nome egli è presente in mezzo a loro» (Matteo 18:20), l’apostolo Paolo considera che anche le comunità più piccole, quelle che si riuniscono in una casa privata (Romani 16:5; Filemone 2), sono la chiesa di Dio: in esse Dio è presente come nelle grandi chiese.

Si può concludere, quindi, che la fede, nel pensiero degli autori della Bibbia, non può essere vissuta individualisticamente, ma deve trovare la sua realizzazione concreta nell’ambito della chiesa (Ebrei 10:24,25), dove ciascuno deve poter scoprire i propri doni spirituali (1 Corinzi 12:1 ss; 14:1; Romani 12:6) e metterli a disposizione degli altri in uno spirito di gioiosa collaborazione.

Un ultimo dato interessante riguarda la sua organizzazione. La comunità delle origini si riunì inizialmente intorno agli Apostoli, testimoni oculari della vita di Gesù, per poi organizzarsi progressivamente per far fronte ai bisogni di una comunità che si ampliava numericamente e geograficamente. Si delineano allora alcune responsabilità affidate nella chiesa ad uomini di provata fede e coerenza. Nascono così i diaconi, gli anziani, i vescovi (cfr. Atti 6:16; 1 Timoteo 3:1-7,8-13; Atti 14:23; 15:2; 20:17; Tito 1:5; Filippesi 1:1; Tito 1:7; Atti 20:28). Tuttavia, il governo della comunità veniva esercitato collegialmente, senza che nessuno assumesse funzioni di capo indiscusso (cfr. Atti 15 che riporta il ‘concilio’ apostolico di Gerusalemme).

Attualmente esistono almeno quattro fondamentali forme di organizzazione o di governo ecclesiastico:

  1. La forma papale o monarchica. La comunità è organizzata in modo piramidale o gerarchico. Il Papa rappresenta la suprema autorità in qualità di «Vicarius Filii Dei». Al di sotto di lui il governo della chiesa è esercitato in modo decrescente dai cardinali, dagli arcivescovi, dai vescovi e, infine, dal corpo dei sacerdoti (clero). I membri delle chiese locali (laici) hanno pochissimo peso nelle decisioni che imprimono gli indirizzi fondamentali della Chiesa cattolica, sebbene a partire dal Concilio Vaticano II (1962-1965) si discuta in modo sempre più animato del ruolo dei laici.
  1. La forma episcopale. La struttura organizzativa non è molto diversa da quella cattolico-papale. In essa la direzione della comunità è assunta dai vescovi (episkopoi) considerati come i successori degli Apostoli. Anche in questo caso (vedi la Chiesa anglicana e la Chiesa episcopale) esiste quindi una struttura di tipo gerarchico.
  1. La forma congregazionalista o indipendente. L’autorità suprema è qui riconosciuta alla chiesa locale, che è sovrana nelle sue decisioni. Si tratta perciò di una forma di governo democratico, ma con uno scarso coordinamento delle singole comunità sorelle tra di loro.
  1. La forma rappresentativa. Pur riconoscendo alla comunità locale la sovranità e il compito di autodirigersi, alcune direttive generali che riguardano il corpo dei credenti a livello nazionale o sovrannazionale vengono date da alcuni ufficiali ai quali è stata conferita democraticamente l’autorità di amministrare la comunità ai diversi livelli. Tali ufficiali sono eletti dai delegati delle varie chiese locali, i quali, riuniti periodicamente in congresso, giudicano l’andamento della chiesa e l’operato degli ufficiali precedentemente eletti designandone dei nuovi. Questa forma di governo è stata scelta dalla Chiesa avventista che è organizzata secondo il sistema sopra descritto in Federazioni, in Unioni, in Divisioni. Queste ultime, che sono organismi amministrativi di tipo sovrannazionale e internazionale, fanno capo alla Conferenza Generale, che è il supremo organo amministrativo a livello mondiale.

Implicazioni pratiche oggi

  1. Come si entra a far parte della chiesa? Secondo il NT per una sola via che è quella della fede e del battesimo; la prima implica il secondo, praticato agli adulti perché un bambino, tanto meno un neonato, non è in grado di compiere atti di fede. L’ordine di Cristo è: «Andate in tutto il mondo e predicate l’evangelo a ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato, ma chi non avrà creduto sarà condannato» (Marco 16:15,16). Quello degli Apostoli è identico (Atti 2:37,38; 16:30,31). L’apostolo Paolo afferma che c’è una sola fede e un solo battesimo (Efesini 4:5),volendo con questo dire un’unica fede nella Parola di Dio, il verbo incarnato, Gesù Cristo che noi confessiamo scendendo nelle acque del battesimo per fare parte del popolo di Dio (Galati 3:27,28; Romani 6:3,4; Efesini 2:19-21) .Questo miracolo si opera attraverso l’ascolto e l’accettazione della Parola di Dio (Romani 10:17).
  1. Caratteristiche della chiesa. La chiesa fondata da Cristo è l’oggetto costante dell’ira di Satana. Gesù mise in guardia i suoi discepoli a tal proposito (Matteo 10:16-23,36-39; 24:9; Giovanni 15:18-25). L’Apocalisse, dopo aver riassunto la storia della secolare persecuzione satanica contro la chiesa simboleggiata dalla donna pura (cap. 12), descrive con queste drammatiche parole la conclusione: «E il dragone si adirò contro la donna e andò a far guerra col rimanente della progenie di essa che serba i comandamenti di Dio e ritiene la testimonianza di Gesù» (Apocalisse 12:17). Vuol dire che Satana non è riuscito ad aver ragione della chiesa. Questo testo, che deve essere compreso alla luce di quello contenuto in Matteo 16:18, deve essere rettamente capito. Lungi da noi il facile trionfalismo, dobbiamo invece vedere la cruda realtà. Le parole «il rimanente della progenie della donna» sembrano indicare un residuo, un numero ristretto di fedeli rimasti soli e che suscitano il furore diabolico proprio perché in mezzo al dilagare dell’apostasia (2 Tessalonicesi 2:1-12; 1 Timoteo 4:1,2; 2 Timoteo 3:1-5; 4:1-4; Apocalisse 13:8) resteranno attaccati alla verità. Le caratteristiche della chiesa del rimanente, quindi, sono due:
    • l’osservanza dei comandamenti di Dio;
    • la testimonianza di Gesù o la fede in Gesù, o la fede di Gesù (il greco può essere tradotto nei due sensi) (Apocalisse 12:17; 14:12; 19:10). Apocalisse 19:10 dice che «la testimonianza di Gesù» è lo Spirito di Profezia.

«Testimonianza di Gesù»: in greco questa frase può essere compresa sia come testimonianza che i cristiani dettero di Gesù o come la testimonianza che iniziò con Gesù ed è rivelata alla sua chiesa attraverso i profeti (Apocalisse 1:2). Un confronto con Apocalisse 19:10 favorisce la seconda interpretazione. Qui la «testimonianza di Gesù» è definita come «Spirito di Profezia» sottolineando proprio il fatto che Gesù testimonia alla chiesa attraverso la profezia. (SEVENTH- DAY ADVENTIST BIBLE COMMENTARY, vol. 7, p. 812). In mezzo alla confusione spirituale del nostro tempo la chiesa del rimanente svolge una precisa opera di testimonianza, essendo più che mai attaccata all’autorità della Scrittura e all’obbedienza dei suoi insegnamenti.

Bibliografia

AA.VV., Una famiglia speciale, letture per la settimana di preghiera, Edizioni ADV, Impruneta Firenze, 1999.

De Meo, G., Granel di sale, Edizioni ADV, Impruneta Firenze, 1980.

Knight, G., Alla ricerca di un’identità, Edizioni ADV, Impruneta Firenze, 2004.

Rice, R., Fede, stile di vita, appartenenza, Edizioni ADV, Impruneta Firenze, 2010.

La confessione di fede degli Avventisti del 7° Giorno, Le 28 verità bibliche fondamentali, Edizioni ADV, Impruneta Firenze, 2010, cap. 12.

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