Buone Notizie #04

SUPPLEMENTI PER LA LETTURA E L’APPROFONDIMENTO

DANIELE

di Antonio Caracciolo

(dal libro AA.VV., Dizionario di dottrine bibliche, Edizioni ADV, Falciani Impruneta FI, 1990)

Il personaggio

Daniele (ebraico Dani’el, «Dio è il mio giudice»), nacque, probabilmente in Gerusalemme, nel periodo neo-babilonese. Ancora giovinetto, fu deportato in Babilonia l’anno III di Gioiakim (605 a.C.) insieme con alcuni coetanei come lui di nobile lignaggio (Daniele 1:1,3,6). Dopo aver ricevuto un nome e un’educazione babilonesi (1:4,7), conforme al costume vigente di «snazionalizzare» i prigionieri particolarmente dotati per metterli al servizio dello stato, Daniele e i suoi compagni di esilio furono assunti al servizio del re (1:19). Alla corte di Babilonia Daniele si fece notare prima per la sua fedeltà ai princìpi della fede dei padri (1:8), quindi per la capacità di interpretare i sogni (capp. 2 e 4) e i messaggi del Cielo (cap. 5). Egli stesso ricevette in visione rivelazioni profetiche concernenti i destini futuri dei regni del mondo e l’instaurazione finale del regno di Dio (capp. 7-12). Daniele svolse mansioni di governo nella provincia di Babilonia sotto Nabucodonosor (2:48), Belsasar (5:29) e Dario il Meda (6:2). L’ultima visione del profeta esule in Babilonia reca la data dell’anno III di Ciro (10:1) corrispondente al 536/35 a.C.

Il libro

Daniele è il IV dei Profeti Maggiori nel canone greco e il VII degli Agiografi nel canone ebraico. Il libro contiene 12 capitoli e si divide in modo naturale in 2 sezioni: di indole narrativa la prima (capp. 1-6) e profetico-apocalittica la seconda (capp. 7-12). La versione greca dei LXX aggiunge un’appendice apocrifa di 2 capitoli. La sezione narrativa contiene 6 racconti:

  1. Daniele e i compagni alla corte di Babilonia (cap. 1);
  2. Daniele interpreta un sogno profetico di Nabucodonosor (la statua dei 4 metalli) (cap. 2);
  3. i compagni di Daniele gettati nella fornace e salvati miracolosamente (cap. 3);
  4. Daniele interpreta un secondo sogno di Nabucodonosor (l’albero abbattuto) (cap. 4);
  5. Daniele legge e interpreta la scritta misteriosa sulla parete della sala del banchetto di Belsasar (cap. 5);
  6. Daniele nella fossa dei leoni (cap. 6).

La sezione profetica racchiude 4 grandi rivelazioni:

  1. la visione delle 4 bestie (interpretata da un angelo) (cap. 7);
  2. la visione del capro e dell’ariete (interpretata dall’angelo Gabriele) (cap. 8);
  3. la rivelazione messianica diretta delle 70 settimane (cap. 9);
  4. la visione dell’Essere eccelso seguita dalla rivelazione diretta della grande lotta fra i re del Settentrione e del Mezzogiorno culminante nell’intervento di Michael (capp. 10-12).

La critica liberale ha contestato e tuttora contesta l’autenticità e la data tradizionale del libro di Daniele fondandosi su una serie di obiezioni di cui le più rilevanti sono le seguenti:

  1. Il libro contiene anacronismi, inesattezze storiche e notizie leggendarie:
    • in 1:1 considera Nabucodonosor re di Babilonia nell’anno III di Gioiakim, in contrasto con Geremia 25:1 che sincronizza il I anno di Nabucodonosor col IV di Gioiakim;
    • sempre in 1:1 menziona una presa di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor nell’anno III di Gioiakim sconosciuta a Geremia e ai libri storici;
    • nel cap. 5 fa di Belsasar il figlio di Nabucodonosor confondendo questo monarca con Nabonide;
    • ancora nel cap. 5 presenta Belsasar come ultimo re di Babilonia laddove le fonti babilonesi citano sempre e solo Nabonide come l’ultimo sovrano di Babilonia;
    • in 5:1 e nei capp. 9:1 ; 6:1 menziona un Dario il Meda, sconosciuto a tutte le fonti antiche;
    • in 2:2,5,10 usa il termine «caldei» in senso sociale (per designare una classe di sapienti), laddove nell’antichità esso aveva solo un significato etnico, cioè indicava una popolazione;
    • nel cap. 4 alluda una follia di Nabucodonosor di cui no c’è traccia nei testi contemporanei.
  2. L’autore del libro enuncia concetti dottrinali (angeli, giudizio, resurrezione) che sono propri del tardo giudaismo.
  3. In 3:5,7,10,15 il libro ha 3 parole di origine greca.
  4. L’autore rivela una conoscenza esatta degli avvenimenti del II sec. a.C.
  5. Le visioni appartengono al genere apocalittico fiorito nel tardo giudaismo.
  6. Nel canone ebraico il libro non si trova nella raccolta dei Profeti ma in quella degli Agiografi.
  7. L’autore dell’Ecclesiastico, verso il 180 a.C., non menziona Daniele tra le figure eminenti della storia d’Israele. Da questi argomenti la critica moderna ha tratto la conclusione che Daniele è un prodotto delle aspirazioni irredentistiche giudaiche durante le persecuzioni di Antioco Epifanio nel II sec. a.C.

L’esegesi conservatrice dispone oggi di sufficienti controargomenti per rispondere alle obiezioni della critica liberale contro l’antichità e l’autenticità di Daniele:

  1. L’accusa di anacronismi, inesattezze storiche e notizie leggendarie mossa a Daniele è inconsistente. Infatti:
    • dalla cronaca di Babilonia pubblicata da D.J. Wiseman nel 1956 è risultato che i Babilonesi nel computo degli anni di regno non tenevano conto del periodo di tempo fra l’ascesa al trono del nuovo sovrano e la fine dell’anno civile in corso (periodo che essi chiamavano «anno di accessione al trono»). Il primo anno di regno si contava dall’inizio dell’anno civile successivo (1 Nisan). I Giudei invece, seguendo il sistema egiziano, contavano come primo anno di regno di un sovrano quello che per i Babilonesi era l’«anno di accessione». I sistemi babilonese ed egiziano-giudaico sono detti «post-datazione» e «predatazione». Geremia che viveva nella Giudea ovviamente contava come IV anno di regno di Gioiakim quello che per Daniele, che si basava sul sistema babilonese della post-datazione, era invece il III anno.
    • Lo storico babilonese Beroso, citato da Giuseppe Flavio in Contra Apionem, XIX, 137, accenna a una traslazione in Babilonia di prigionieri giudei catturati dopo la vittoria di Nabucodonosor sugli Egiziani a Carchemish. Inoltre la cronaca di Babilonia BM 21946 dice che Nabucodonosor, battuti gli Egiziani a Carchemish (agosto 605 a.C.), «conquistò tutta la regione del paese di Hatti» (D.J. Wiseman, Chronicles of Chaldean Kings…,Londra 1956), e un testo biblico (21:2 e 24:7) ci informa che a seguito della vittoria sul re d’Egitto «il re di Babilonia aveva preso tutto quello che era stato del re d’Egitto, dal torrente d’Egitto al fiume Eufrate». Infine, due altri testi biblici paralleli (2 Re 24:1 e 2 Cronache 26:6) accennano a una campagna militare di Nabucodonosor contro Gioiakim senza indicare la data. Tutte queste notizie offrono una conferma indiretta dell’informazione contenuta in Daniele 1:1,2.
    • Un testo babilonese, il «racconto in versi di Nabonide»,dice che quest’ultimo conferì al figlio primogenito la regalità prima di andarsene a Tema, nell’Arabia del nord, dove secondo la stele di Harran trascorse 10 anni. Vari documenti menzionano Bel-shar-usur (Belsasar)figlio di Nabunaid (Nabonide). Dunque, negli ultimi 10 anni del regno di Nabonide, sebbene questo sovrano fosse di diritto il re di Babilonia come attestano tutti i documenti contemporanei che ci sono noti, Belsasar lo fu di fatto.
    • Nell’uso semitico i termini «padre» e «figlio» erano estesi comunemente agli ascendenti e ai discendenti. Questo uso dei vocaboli «padre» e «figlio» col significato di «avo» e «nipote», è ampiamente documentato nella Bibbia (vedi per es. Deuteronomio 26:5; Giosuè 24:3; Matteo 22:45; Luca 1:32; Giovanni 4:12; 8:39,53, ecc.). La moglie di Nabonide, che secondo Erodoto si chiamava Nitocris, da altre fonti risulta essere stata figlia di Nabucodonosor (vedi G. RINALDI, Daniel, p. 89). Dunque Belsasar era nipote di Nabucodonosor e nella Bibbia «nipote» si dice anche «figlio».
    • Giuseppe Flavio dice in Antichità, X,11,4, che Dario, quello del libro di Daniele, «presso i Greci aveva un nome diverso». Il personaggio Dario il Meda corrisponde bene a una figura di cui parlano i testi cuneiformi (in modo particolare la Cronaca di Nabonide) egli storiografi greci: Gubaru governatore del Gutium. Secondo la Cronaca di Nabonide, Gubaru il 16 di Tishri conquistò Babilonia e circa 13 mesi appresso vi morì. I testi amministrativi babilonesi designano Ciro col titolo di « re dei paesi» dal I fino al XIV mese dopo la caduta di Babilonia, e col titolo di «re di Babilonia, re dei paesi» dal XV mese dopo la fine della dinastia caldea fino al termine del suo regno (vedi G. HASEL in Daniel, questions débattues, 32,33). Qualcun altro deve dunque avere esercitato la sovranità in Babilonia durante questi 14 mesi i quali, in base al calcolo «inclusivo» del tempo in uso nell’antichità, contavano per 2 anni. Daniele dice che Dario il Meda ricevette il regno all’età di 62 anni (5:31) e fu fatto «re del regno dei Caldei» (9:1); infine in 10:1 il profeta data la sua ultima visione all’anno III di Ciro, dunque in quel tempo Dario il Meda doveva già essere scomparso. Questi parallelismi rendono molto verosimile l’identificazione di Dario il Meda di Daniele col Gubaru dei testi cuneiformi.
    • Daniele conosce l’uso del termine « caldei» in senso etnico (1:4; 9:1), nonostante che a volte lo adoperi con una connotazione sociale (2:2,4,10). Lo storico greco Erodoto verso il 440 a.C. menziona anche lui i Caldei come una casta sociale.
    • Che gli scribi di corte stendessero il velo del silenzio su un avvenimento inglorioso come la follia del sovrano è del tutto comprensibile. Tuttavia la notizia di una malattia che colpì Nabucodonosor negli ultimi anni del suo regno è giunta allo storico Abydeno circa un secolo dopo e Giuseppe Flavio la riferisce in Contra Ap., i,20. Inoltre, un testo babilonese frammentario pubblicato da A.K. Grayson nel 1975 menziona Nabucodonosor e il figlio Awel-Marduk in un contesto di comportamenti molto strani che non si possono riferire che a uno dei due personaggi (vedi G. HASEL in cit., p. 30).
  2. Sebbene dottrine come l’angeologia, il giudizio e la resurrezione avessero uno sviluppo notevole nel tardo giudaismo, tali dottrine sono già presenti in vari libri profetici del tempo pre-esilico e post-esilico (vedi Isaia capp. 24-26 e spec. 24:19-21; 25:8,9; 26:19; Michea 4:1-8; Ezechiele cap. 1; Zaccaria 3:1-7; Malachia 3:1, ecc.).
  3. Parole di sicura origine greca nel cap. 3 di Daniele sono i nomi di 3 strumenti musicali: qitros, pesanterîm e sumfoneia. Dai ritrovamenti archeologici è risultato sempre più evidente che la cultura greca era penetrata nel vicino Oriente semitico prima dell’epoca di Nabucodonosor (W. ALBRIGHT, From the Stone Age to Christianity, p. 337). Nella sala del trono del palazzo di Nabucodonosor gli archeologi hanno rinvenuto una colonna ionica e una decorazione di chiaro stile greco (vedi A. PARROT, Babilonia e l’Antico Testamento, p. 27). Testi cuneiformi dell’epoca di Nabucodonosor riferiscono che fra gli stranieri che lavoravano alla realizzazione dei progetti edilizi in Babilonia, figuravano artigiani ionii e lidii (vedi S.D.A. Bible Comm., vol. IV, p. 781).
  4. Se si ammette il valore autenticamente profetico del libro, non fa meraviglia che Daniele anticipi gli avvenimenti del futuro, anche quelli del II sec. a. C. Il valore profetico di Daniele peraltro è attestato nei vangeli: Matteo 24:15; Marco 13:14.
  5. Sebbene il genere apocalittico conoscesse una fioritura straordinaria nella tarda età giudaica (II sec. a.C.- II sec. d.C.), l’origine di questo genere di letteratura profetica è molto più antica. Tale genere letterario è attestato in vari libri profetici pre e post-esilici (vedi Amos 7:1,2,4,7-9; Ezechiele1:4-28; Zaccaria capp. 4-6, ecc.).
  6. È quasi certo che la collocazione di Daniele nella raccolta degli Agiografi avvenne in epoca molto tarda, probabilmente al concilio giudaico di Jamnia alla fine del I o all’inizio del II sec. d.C. Nella versione greca dell’Antico Testamento (AT), detta dei Settanta, che risale al III-II sec. a.C., Daniele è tra i Profeti. Come ha sottolineato il Prof E. Young, Daniele ebbe il dono profetico, ma non ne esercitò l’ufficio come i profeti classici; egli visse in Babilonia come funzionario di quella corte e non fra il suo popolo come Isaia, Geremia, Ezechiele ed altri. Questa circostanza è più che sufficiente a spiegare la collocazione di Daniele fuori del canone dei Profeti.
  7. L’autore dell’Ecclesiastico (libro composto verso il 180 a.C.) nell’elogio dei padri (capp. 44-50) passa sotto silenzio altri nomi illustri della storia nazionale oltre a quello di Daniele. Egli non menziona i nomi dei profeti «minori» da Osea a Malachia, i re riformatori Giosafat e Asa, l’eroe nazionale Mardocheo e la figura eminente del dopo-esilio, Esdra. È evidente che il Siràcide non intese presentare nel suo libro un elenco completo delle glorie d’Israele.

A sostegno dell’antichità e autenticità di Daniele si possono citare diversi argomenti.

  1. In Daniele manca qualunque accenno esplicito o implicito alle lotte epiche dei Maccabei. In uno scritto di quell’epoca sarebbe logico aspettarsi di poter cogliere l’eco di tali avvenimenti, come si riscontra per es nella IV sez. del libro pseudoepigrafico di Enoch.
  2. La concezione universalistica che permea tutto il libro di Daniele contrasta con lo spirito nazionalistico radicale del tardo giudaismo che si rispecchia nella letteratura contemporanea.
  3. Daniele rivela una conoscenza dell’impero neo-babilonese e della storia primitiva della Persia degli Achemenidi più accurata di qualunque storico posteriore al VI sec. a.C.:
    • egli sa che Nabucodonosor fu l’artefice della nuova Babilonia (4:30);
    • sa che Nabucodonosor promulga e modifica le leggi a suo talento: 2:12,13,18, ecc. (nell’Oriente antico il dispotismo regio in effetti non conosceva limiti); sa che le leggi dei Medi e dei Persiani sono irrevocabili (6:8,15), come è attestato dagli storiografi greci; sa che i Babilonesi puniscono col fuoco (cap. 3) e i Persiani col dare in pasto alle belve (cap. 6). Come gli Assiri, i Babilonesi, nelle cui terre abbondavano le fornaci per mattoni, punivano col fuoco (vedi Geremia 29:22), mentre i Persiani, poiché il fuoco era sacro a Zoroastro, castigavano gettando in pasto alle belve.
    • Daniele sa che Belsasar esercitò le funzioni regie come correggente; egli infatti è al corrente che la dignità più alta nel regno dopo Belsasar è la terza (5:16); quindi Belsasar è la seconda e non la prima autorità dello stato.
    • Daniele conosce il linguaggio aulico in uso nelle antiche corti orientali. La frase «O re, possa tu vivere in perpetuo» (2:4; 3:9; 5:10) è una formula cortigianesca del tempo antico (vedi 1 Re 1:36; Neemia 2:3, ecc.).
  4. Nella visione del cap. 7 Babilonia appare sotto la figura di un leone. Il leone era in effetti l’emblema della superba città caldea; questo animale era raffigurato 120 volte in mattoni smaltati policromi lungo la via processionale di Babilonia.
  5. Nel cap. 5 si descrive con realismo il crollo repentino di Babilonia. II Prof. R.P. Dougherty dice: «Di tutte le fonti non babilonesi che ci informano sugli avvenimenti relazionati con la fine del regno neobabilonese, il cap. 5 di Daniele è la più vicina ai testi cuneiformi» (Nabonidus and Belshazzar, p. 199). La notizia di Daniele è conforme al racconto della caduta di Babilonia nella Ciropedia di Senofonte.
  6. Per un motivo che non conosciamo, il libro di Daniele comincia in ebraico (1:12:4 pp), prosegue in aramaico (2:4 sp-7:28) e termina in ebraico (8:1 fino a 12:13). Vari specialisti di filologia semitica hanno riscontrato che l’aramaico di Daniele si allontana tanto dall’aramaico recente quanto si avvicina all’aramaico antico e che l’ebraico è molto vicino a quello di Ezechiele e di Esdra (vedi G. HASEL in op. cit., pp. 36-39).
  7. Degli otto titoli ufficiali elencati in Daniele 3:2, cinque sono di origine persiana.

È più logico ammettere che una terminologia tecnica persiana fosse conosciuta e usata in Babilonia nell’età persiana piuttosto che in Palestina in piena età ellenistica.

Circostanze esterne al libro militano a favore della sua antichità e autenticità:

  1. Nell’elogio dei padri che il vecchio sacerdote Mattatia fa nel suo testamento (1 Maccabei 2:51,60), accanto ad altre figure illustri del passato, come Abramo, Giuseppe, Fineas, Giosuè, Caleb, ecc., egli menziona Daniele e i suoi 3 compagni. Da ciò si vede che nel II sec a.C. questi personaggi erano accettati in seno all’ebraismo come personaggi storici e non come evanescenti figure mitiche.
  2. Gesù in Matteo 24:15 nel citare Daniele lo riconosce come «profeta». Con ciò il Signore ha accreditato il valore profetico del libro e l’autenticità storica del suo autore.
  3. I manoscritti del Mar Morto hanno offerto ulteriori argomenti a sostegno dell’antichità di Daniele. «Oggi risulta chiaro dai manoscritti di Qumrân che nessuna parte della letteratura canonica dell’AT fu composta dopo il IV sec a.C. Ciò significa che Daniele deve necessariamente essere assegnato a un qualche momento del periodo neo-babilonese (626-539 a.C.) o a un momento di poco posteriore». (R. K. HARRISON in The Intern. Stand. Bible Encycl., vol. I, p. 866).

Il peso della documentazione storica, archeologica e biblica è nettamente a favore dell’origine antica e dell’autenticità del libro di Daniele. Lo hanno riconosciuto studiosi valenti del passato e del presente: Pusey, Keil, Rohling, Fuller, Auberlen, Fabre d’Envieu, Knabenbauer nel sec XIX, e in tempi a noi più vicini Philippe, Dougherty, Moeller, Hartenstein, Linder, Young, Walwoord, Archer, Harrison ed altri.

Bibliografia

Doukhan, J.B., I segreti di Daniele, Edizioni ADV, Firenze, 2014.

Per acquistare questo volume puoi visitare il sito: www.edizioniadvshop.it o richiederlo al responsabile della libreria di chiesa della comunità avventista che frequenti.

Heinz, H., Un mondo che cambia verso quale futuro?, Edizioni ADV, Impruneta Firenze, 1993.

(Questo libro è esaurito – lo si può trovare in qualche libreria di chiesa o famiglia avventista)

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